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                   Giunto a Gaeta nell’agosto del 1438, Ferrante ottenne ben presto
                dal  padre  l’investitura  a  cavaliere  e  nell’aprile  dell’anno  seguente,
                all’età di 14 anni, opportunamente istruito e ritenuto idoneo al ruolo
                preminente a cui era destinato, ne conseguì la nomina a luogotenente
                generale del Regno. La venuta del figlio era stata sollecitata da Alfonso
                per colmare il vuoto affettivo lasciato dalla tragica morte del fratello
                minore Pietro, ucciso dalle schegge di un colpo di cannone durante
                l’assedio di Napoli. Subito dopo la morte di Pietro, Alfonso aveva in-
                viato in Spagna una lettera al fratello Enrico per ordinargli di venire al
                più presto nel Regno di Napoli a prestargli l’aiuto ritenuto adesso ur-
                gente. Aveva inoltre pensato di impartire lo stesso ordine all’altro fra-
                tello Giovanni, perché era determinato «a lasciare la vita piuttosto che
                quell’impresa»  della  conquista  del  trono  napoletano .  Impegnato  in
                                                                   23
                Castiglia nel tentativo di recuperare il terreno perduto approfittando
                dei frequenti contrasti in seno a quel governo, Enrico non aveva però
                grande interesse per l’Italia né possedeva le doti di uomo di Stato che
                sarebbero servite per collaborare proficuamente con il fratello mag-
                giore, che tuttavia sentiva il bisogno, ancora più impellente dopo la
                scomparsa di Pietro, di avere al fianco uno stretto congiunto.
                   Il giorno prima dell’uccisione del fratello, era giunto all’accampa-
                mento di Alfonso un messo del re di Francia Carlo VII, che dichiarava
                la disponibilità del suo sovrano a mediare un accordo per porre ter-
                mine al conflitto con il pretendente angioino, intesa a cui era interes-
                sato lo stesso pontefice Eugenio IV. Carlo VII intendeva affidare il com-
                pito di intavolare le trattative al cardinale di Foix, che aveva già con-
                dotto per conto della Chiesa proficui negoziati con il sovrano aragonese
                e sembrava perciò la persona più adatta a trovare con lui un compro-
                messo per giungere alla sospensione delle ostilità con il duca d’Angiò .
                                                                                  24
                L’offerta di mediazione, benché formalmente accolta, fu però di fatto
                respinta da Alfonso, convinto che aveva lo scopo di favorire Renato, di
                cui  il  re  di  Francia  e  il  papa  erano  fautori.  Se  entrambi  optavano
                adesso per un’intesa, era per cercare di sollevare le sorti del loro pro-
                tetto che si trovava in evidente difficoltà e correva il rischio di subire
                una definitiva sconfitta.
                   Alfonso dovette comunque desistere dall’assedio di Napoli – la cui
                conquista avrebbe posto di fatto fine alla guerra di successione – non
                solo per le sopraggiunte intemperie ma soprattutto, secondo Zurita,
                per lo scarso impegno profuso dai baroni napoletani suoi seguaci e in


                   23  Diurnali detti del Duca di Monteleone, a cura di N. F. Faraglia, Società Napoletana
                di Storia Patria, Napoli 1895, p. 107.
                   24  A. Ryder, Alfonso el Magnánimo, rey de Aragón, Napoles y Sicilia (1396-1458), Ge-
                neralitat Valenciana, Valencia 1992, p. 290.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Dicembre 2022
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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