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592 Paolo Calcagno
non era più successa «cosa simile» . In effetti, tutta la prima parte del
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XVII secolo segnò una fase involutiva per la flotta mercantile veneta, alle
prese con un forte rialzo dei costi assicurativi, e l’interscambio con i paesi
al di là dello stretto di Gibilterra si concentrò di fatto nelle mani degli
operatori “nordici”, in particolare inglesi e olandesi. Anche nei decenni
successivi, si continuò ad assistere a una riduzione dei tonnellaggi del
naviglio battente bandiera di San Marco, e le timide misure doganali –
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laddove altri scali affinavano il proprio regime di porto franco - causa-
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rono semmai una flessione delle entrate fiscali nella seconda metà del
secolo, riflesso di un andamento non entusiasmante del commercio ma-
rittimo . Inoltre le guerre contro il Turco furono sfruttare dai mercanti di
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Francia, Province Unite e Inghilterra per installarsi definitivamente nei
mercati del Levante; e anche le merci orientali presero ad approdare in
Laguna quasi sempre su legni nordeuropei .
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Entrando nel XVIII secolo, aumentarono i concorrenti nell’attrarre
i maggiori flussi commerciali interni al Mare Nostrum (financo nello
stesso “golfo di Venezia”): Trieste, Ancona, la sempre vivace Ragusa;
ma lo scalo realtino non volle cedere alle tentazioni della politica di
franchigia, e cercò di mantenere un profilo autonomo, puntando su
tariffe doganali moderate e una decisa incentivazione alla cantieristica
e all’armamento navale . Gli squeri dell’Arsenale e quelli disseminati
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in Laguna incrementarono la loro attività specialmente dopo il 1736,
grazie a una riforma promossa dal governo veneziano per favorire la
costruzione di nuovi legni armati (le cosiddette “navi atte”), capaci di
2 D. Sella, Commerci e industria a Venezia nel secolo XVII, Istituto per la collabora-
zione culturale, Venezia-Roma, 1961, p. 94, nota 2.
3 Le normative in vigore tra 1662 e 1684 prevedevano un moderato abbassamento
delle tariffe per le merci in entrata provenienti da Levante e da Ponente, ma al contempo
mantenevano inalterata la tassazione per le merci in uscita.
4 Sui porti franchi mediterranei, in una prospettiva comparativa, è in uscita G. De-
logu, K. Stapelbroek, A. Trampus, (dir.), Mediterranean Free Ports, London, Routledge,
2022.
5 M. Costantini, Una Repubblica nata sul mare. Navigazione e commercio a Venezia,
Marsilio, Venezia, 2006, pp. 81-91. All’inizio degli anni Settanta, le “scale di Ponente”
«non erano percorse da nessuna nave veneziana» (U. Tucci, La marina mercantile vene-
ziana nel Settecento, «Bollettino dell’istituto di storia della società e dello stato vene-
ziano», 2 [1960], p. 160). Per di più, in base ai dati di Tucci, nel 1694 il tonnellaggio
veneziano aveva subito «un regresso notevolissimo» rispetto a una ventina di anni prima,
e la flotta era composta prevalentemente da marciliane di utilizzo adriatico.
6 Su questo pone l’attenzione anche F.C. Lane, Storia di Venezia, Einaudi, Torino,
1991, pp. 482-483.
7 W. Panciera, La Repubblica di Venezia nel Settecento, Viella, Roma, 2014, p. 77.
Nelle parole dei Cinque Savi alla Mercanzia, i porti franchi erano «puri porti di deposito
delle altrui merci e solo ricovero dell’altrui navigazione», mentre Venezia era «piazza
reale, sede di commercio suo e di sua navigazione» (“scrittura” del 25 agosto 1752 citata
in U. Tucci, La marina mercantile veneziana cit., p. 183).
Mediterranea – ricerche storiche – Anno XIX – Dicembre 2022
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)