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Formazione e ascesa di un homo novus nella Napoli austriaca 105
nel periodo a cavallo tra la dominazione austriaca e l’avvento dei Bor-
bone, ma anche di individuare la genesi di quelle posizioni ideologiche
che furono il sostrato culturale della sua iniziativa ministeriale. La
fonte epistolare, per la sua stessa natura di racconto soggettivo , offre
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infatti l’opportunità di esaminare il «periodo forense» nella dimensione
privata oltre che pubblica: di osservare, da un lato, il rapporto di De
Marco con l’amico De Leo, le sue idee, la sua personalità e, dall’altro,
il percorso professionale, foriero di conoscenze, relazioni e abilità che
si rivelarono fondamentali per gli incarichi successivi.
Collocato cronologicamente a poca distanza dagli anni in cui si con-
sumò la condanna di Pietro Giannone, l’epistolario ha il pregio di rievo-
care la Napoli pre-illuminista, di restituire le tensioni tra potere vicereale,
ministeriale ed ecclesiastico, di testimoniare la diffusione delle idee scien-
tifiche e filosofiche moderne in ambiente partenopeo, sostenute, in parti-
colare, da quella generazione di novatores che avrebbe gettato le basi
dell’Illuminismo meridionale. Il carteggio, nondimeno, induce a riflessioni
sul ruolo avuto dalla presenza austriaca a Napoli, la quale, lungi dall’es-
sere stata solo una parentesi tra il governo spagnolo e quello borbonico,
preparò il terreno alla fase riformistica successiva ed ebbe un peso spe-
cifico notevole per il decisivo avanzamento del ceto civile, principale fau-
tore di quelle istanze di rinnovamento sociale che avrebbero ispirato gli
interventi governativi della seconda metà del secolo.
Fu in questo contesto che De Marco consolidò i suoi indirizzi
spirituali e ideologici. Questo l’ambiente nel quale sviluppò il suo
marcato regalismo, il suo antigesuitismo, la sua concezione laica
dello stato, la sua aspirazione a una chiesa moralmente più rigo-
rosa, poi sfociata, in età adulta, in simpatie, nemmeno troppo ve-
late, per posizioni filo-gianseniste.
Per tali ragioni, non stupisce che il giudizio formulato su di lui da
una parte della storiografia filo-romana sia stato pesantemente condi-
zionato dalle sue idee regaliste. Basti pensare alle dure opinioni
espresse, nel 1901, dallo storico gesuita Ilario Ranieri che lo definì
«invasato di una vera mania furiosa contro Roma e contro le leggi ec-
clesiastiche», aggiungendo che la sua nomina alla guida degli affari
ecclesiastici «fu per la monarchia borbonica il fallo, che arrecò le più
funeste conseguenze» . Un giudizio esagerato e tendenzioso, che non
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rende adeguatamente giustizia alla centralità che De Marco ebbe in
6 D. Maldini Chiarito, L’ossequio, la confidenza e la regola: i tre linguaggi di Costanza
d’Azeglio, in D. Maldini Chiarito, E. Betri (a cura di), Dolce dono graditissimo. La lettera
privata dal Settecento al Novecento, Franco Angeli, Milano, 2000, pp. 341-354: 341.
7 I. Ranieri, Della rovina di una monarchia. Relazioni storiche tra Pio VI e la Corte di
Napoli negli anni 1776-1799 secondo documenti inediti dell’Archivio Vaticano, Unione Ti-
pografica Editrice, Torino, 1901, p. 106.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XX - Aprile 2023
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)