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«Absolutamente no entra obispo si no el que presenta y nombra su Magestad»...  335


                    Monarquía y ser los obispos nombrados por su Magestad, no se permite ni en
                    Nápoles ni en España a los nuncios, ni a los legados a latere, ni aún a los
                    mismos obispos, aunque sean españoles y vasallos de su Magestad y puestos
                    por su real mano 83 .

                       Per il cardinale si sarebbero così create le premesse per ingerenze
                    ben  maggiori:  inviare  un  vicario  papale  in  «una  ciudad  fortaleza  y
                    puerto como Mezina, con una diócesis tan estendida», avrebbe un do-
                    mani costituito il pretesto per nominare un nunzio nel regno , rischio
                                                                               84
                    non a caso evocato più volte anche nel Discurso. Non c’è dubbio che la
                    strategia romana risultava ancora più evidente se si considera il profilo
                    del vicario apostolico nominato nel gennaio del 1632 per Messina. Si
                    trattava infatti, come detto, di Giambattista Pontano, ordinato e eletto
                    vescovo di Oppido giusto un paio di settimane prima di ricevere l’inca-
                    rico, creatura dei Barberini e in particolare di Antonio, cardinale di
                    Sant’Onofrio e fratello del papa, senza dire che «esta pretenssión de
                    embiar vicario [h]a sido favorezida y guiada por don Taddeo Barbe-
                    rino», nipote dello stesso pontefice . Su tale forzatura era d’accordo
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                    anche il viceré Albuquerque tanto che, a differenza del commissario
                    apostolico  Cellesi,  il  breve  di  nomina  di  Pontano  non  ricevette  mai
                    l’exequatur del regno.
                       Fu proprio questo rifiuto a mettere fine alla seconda guerra dei vi-
                    cari apostolici, sebbene una causa criminale contro l’arcivescovo Proto
                    risulta ancora aperta nel 1637, comprendendo anche reati commessi
                    nei cinque anni immediatamente precedenti, presso la Congregazione
                    dei  Vescovi  e  Regolari .  Questa,  cedendo  finalmente  alle  continue
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                    pressione del Senato di Messina , prima decretò il trasferimento del
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                       83  Ivi, ambasciatore cardinale Borja al viceré Albuquerque (Roma, 4 maggio 1632).
                       84  Ivi, ambasciatore cardinale Borja al viceré Albuquerque (Roma, 11 febbraio 1632).
                       85  Ibidem.
                       86  Il suo cattivo governo era, se possibile, peggiorato tanto che «molti astretti dalle
                    [sue] vendette [...] et altr’oppressi da crudelissime estorsioni» si erano rivolti alla Sede
                    romana. In particolare, lo si accusava di illecita esazione dello «ius procurationis in di-
                    scursu visitae cum concussione» (200 onze) ai danni del clero di Linguaglossa e Taor-
                    mina; di ingresso in un monastero femminile «con molto scandalo» e contravvenendo
                    alle norme della clausura; di concessioni simoniache di arcipreture e vicariati in altri
                    paesi della diocesi. A tutto questo si aggiungeva che, impauriti dalle ritorsioni dell’arci-
                    vescovo, «lasciano l’agravati di domandare la loro giustitia»: Aav, Cvr, 308, Senato di
                    Messina alla Congregazione dei Vescovi e Regolari (Messina, s.d., ma dopo 27 luglio
                    1637).
                       87  Ivi, Senato di Messina al cardinale di S. Onofrio, Antonio Barberini, e ad altri
                    membri della Congregazione, s.d., ma 1637. In un’altra lettera indirizzata al suo agente
                    a Roma, il Senato assicurava che avrebbe continuato a chiedere giustizia in tutti i tri-
                    bunali «qui in terra, con sicurezza che incontrando durezze, difficoltà, et alla fine nega-
                    tive, ci sarà somministrato il rimedio dal Cielo, essendo questa causa publica, et richie-
                    dendo il servizio di Dio [...] et chiarisca pure qualunque personaggio che questa città
                    non cesserà mai di chiedere la sua giustitia»: ivi (Messina, 20 novembre 1637).


                                                 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XX - Agosto 2023
                                                           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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