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336 Fabrizio D’Avenia
prelato ad altra sede, poi la sospensione della sua giurisdizione, non-
ché la deputazione di un commissario «ad effectum complendi et pro-
cessum informativum perficiendi ac informationem de aliis noviter
commissis delictis capiendi», e l’ingiunzione «ne ab urbe discedat do-
nec de causa cognoscitur». Nel frattempo, perché non provare un’altra
volta a inviare un vicario apostolico? Da parte della Congregazione,
infatti – considerato che «per tot elapsos annos» la diocesi siciliana era
stata privata dell’amministrazione dei sacramenti della cresima e
dell’ordine (riservati al vescovo) e che tale situazione sarebbe conti-
nuata «per plura lustra» fino alla fine del processo –, «humiliter sup-
plicatur de aliquo apostolico vicario in episcopali dignitate constituto
provideri ut praedicta sacramenta, et caetera episcopales functiones
pro illius civitatis et diocesis animarum salute celebrare valeat» .
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Di fatto, nessuna delle decisioni della Congregazione ebbe seguito,
anzi due anni dopo il Proto fu assolto e poté fare ritorno a Messina
grazie alla mediazione del cardinale Doria, in quel momento viceré in-
terino, dove rimase fino alla sua morte nel 1646 . Dunque, tanto ru-
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more per nulla.
4. Un patronato “neutralizzato”?
Nella sua ultima sezione il Discurso cercava di individuare «los re-
medios que se proponen a Su Magestad para que ni los dichos obispos
[y] sus vasallos sean desaforados, ni que aquel grege quede por sus
ausencias desamparado, ni que se le quite el Real Patronazgo, ni se
hagan otros perjuicios a sus regalías». Bisognava innanzitutto fare
88 Ivi, due atti della Congregazione dei Vescovi e Regolari, intitolati Messanensis
translationis e Messanensis Excessuum, s.d. ma 1637. In un memoriale in difesa di
Proto il segretario della Congregazione, monsignor Cesare Facchinetti, riconduceva tut-
tavia le accuse contro l’arcivescovo all’odio di pochi, citando gli analoghi casi di calunnia
che avevano sofferto i suoi quattro predecessori sulla cattedra peloritana, e sottolineava
quanto fosse urgente il suo rientro in diocesi per fare fronte alle impellenti necessità
pastorali: ivi, s.d. ma 1637.
89 F. D’Avenia, Giannettino Doria cit., p. 192; Id., La Chiesa del re cit., p. 136. In una
lettera anonima e senza destinatario (forse l’agente del Senato di Messina a Roma), in-
viata da Taormina il 2 maggio 1637, si informava dell’arrivo da Napoli di un grosso fascio
di lettere indirizzate a Proto, che evidentemente era rientrato in Sicilia (forse a Palermo,
come si potrebbe ipotizzare da un’altra lettera del 5 agosto successivo). Pare girasse
anche la voce che, inviando 100.000 scudi a Roma, «sarà Cardinale o chierico di Cam-
bera (sic)», e che dopo avere fatto imballare il suo archivio e gran parte della sua roba,
«ora ogni cosa s’ha sopraseduto, si iudica ch’habia havuto qualchi altra prorogatione;
[…] è vero che son tanti l’estorsioni, et compositioni ch’ha fatto, et fa piangiri li petri [o
preti?], et è diventato tanto etirato et crudele ch’è una gran pietà, si questo persevera
più in questa all’ultimo ci butterà foco, et haveria stato meno danno sel’havessero sa-
chegiato li Turchi»: Aav, Cvr, 308.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XX - Agosto 2023
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)