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Tra cielo e terra: la condizione vedovile a Palermo nel tardo medioevo 241
Nel fabliaux francese La Veuve, infarcito di doppi sensi e allusioni
sessuali, alle parenti e alle vicine, che la sollecitavano a risposarsi con
un uomo saggio e fedele che avrebbe mantenuto la casa ed ereditato i
beni, la ricca vedova ribatté che non voleva seguire questi consigli e
rivendicò la sua libertà .
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Nell’Italia del Trecento, le vedove furono vittime di due opposti ste-
reotipi: da un lato, l’arte fiorentina additava come modello positivo la
regina Elisabetta d’Ungheria, santa vedova che rimase casta e non si
risposò, dall’altro, nel Decameron e nel Corbaccio Boccaccio forniva
esempi negativi di vedove che dimenticavano il marito e si davano ai
piaceri della carne . La vedova lasciva e avida della letteratura medie-
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vale getta luce sulla rappresentazione trecentesca di Roma come ve-
dova affranta che contiene a stento la sua energia fisica, con gli occhi
strabuzzati, i capelli ispidi, i denti digrignati, come le donne che pian-
gevano i morti con manifestazioni e gesti scomposti. Oltre a segnare
un passaggio nella storia della vedovanza, tale raffigurazione richiama
l’emozione incontenibile e la potenziale violenza del lutto femminile e
si ricollega alle pratiche funerarie delle donne che suscitavano simpa-
tia e compassione, ma anche timore per gli aspetti autodistruttivi
dell’ira. La comunità chiedeva una risposta collettiva, poiché le vedove
minacciavano di disgregare la famiglia, il benessere economico, e i co-
muni italiani si preoccuparono della loro collocazione nella struttura
familiare, nella distribuzione della proprietà e nell’ordine civico. Peri-
colose per la loro rabbia, fonte di desiderio, bisognose di compagnia e
autorità, le vedove andavano protette, disciplinate e controllate per
frenare il loro smodato bisogno di cibo, abiti e sesso .
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Secondo Cammarosano, nell’Italia comunale, la vedova «assumait,
dans la gestion du patrimoine domestique, un rôle de guide qu’aucun
parent ne pouvait remplir», poteva essere tutrice ed esecutrice testa-
mentaria .
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Nella Firenze tardo medievale era considerata una buona madre la
vedova che non si risposava, poiché alimentava con i suoi beni il pa-
trimonio della famiglia del marito . La casa e i beni passavano da una
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21 R. Brusegan (a cura di), Fabliaux. Racconti francesi medievali, Einaudi, Torino,
1980, pp. 246-248.
22 C. Lawless, Widowhood was the time cit. pp. 21-37. Sul rapporto fra corpo fem-
minile, sessualità e morale, cfr. I. Gagliardi, Anima e corpo, Carocci, Roma, 2023.
23 C. Baskins, Trecento Rome. The Poetics and Politics of Widowhood, in A. Levy (a
cura di), Widowhood and Visual Culture cit., pp. 203-208.
24 P. Cammarosano, Les structures familiales dans les villes de l’Italie communale
(XII e -XIV e siècles), in Famille et parenté dans l’Occidente médiéval, Actes du colloque de
Paris (6-8 juin 1974), École française de Rome, Rome, 1977, p. 193.
25 I. Chabot, «La sposa in nero». La ritualizzazione del lutto delle vedove fiorentine
(secoli XIV-XV), «Quaderni Storici», 86 (1994), pp. 450-451.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XX - Agosto 2023
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)