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                mischiavano con quelli posseduti dal marito al tempo del matrimonio
                o acquisiti in seguito, anche se il marito li amministrava, alla figlia
                spettava la dote, ma era esclusa dalla successione . Nel Trecento il
                                                                  39
                contratto matrimoniale in comunione dei beni rimase il più diffuso ,
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                ma crebbe gradualmente la logica patrilineare per non smembrare il
                patrimonio . Il modello agnatizio s’impose nel Quattrocento, prima a
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                livello  feudale  e  nobiliare,  poi  «cittadino-aristocratico  ed  alto-bor-
                ghese», solo i meno abbienti mantennero la comunione dei beni e il
                patrimonio indiviso .
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                   Matteo Sclafani, conte di Adrano, sposato con Beatrice de Calvellis
                more grecorum, modificò più volte le disposizioni testamentarie. Nel
                1333 stabilì che se la moglie fosse rimasta vedova avrebbe potuto edu-
                care la figlia, altrimenti «auferatur ab ea dicta domina Aloisia et tra-
                datur nobili domine Philippe», moglie di Nicola Abbate. Nel 1345 di-
                spose che un eventuale postumo «educetur et alimentetur penes ma-
                trem». Nel 1348 ritornò l’obbligo della vedovanza per educare i figli,
                inoltre, il matrimonio sarebbe stato considerato more latinorum solo se
                fossero sopravvissuti figli. L’obbligo cadde nel 1354, quando Matteo
                nominò eredi universali i nipoti Guglielmone e Matteo, figli di Aloisia e
                Guglielmo Peralta . Nel 1398 Nicola Peralta, conte di Caltabellotta,
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                legò alla moglie Isabella Chiaromonte i redditi di Bivona, finché fosse
                rimasta vedova, e nominò la madre Eleonora tutrice delle figlie . Alla
                                                                             44
                morte di Nicola, la vedova si risposò con il catalano Francesc Castellar
                che rivendicò la dote di Isabella e la terra di Bivona, contesa dalla figlia
                Margherita .
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                   Nella Palermo del Trecento, le vedove potevano essese procuratrici
                dei figli, le mogli dei mariti. Nel 1341 Contessa, vedova di Giovanni de
                Casalasco, permutò un terreno per una casa, come procuratrice dei
                figli, suor Rosa e frate Giacomo, maggiori di 20 anni . Lo stesso anno
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                Simone de Palumba nominò procuratrice la moglie Giovanna, per ven-
                dere  un  fondaco  a  Cefalù .  Nel  1357  fu  ritenuto  valido  un  atto
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                   39  Ivi, pp. 218-219.
                   40  Ivi, p. 145.
                   41  Ivi, p. 242.
                   42  A. Romano, Famiglia, successioni e patrimonio familiare nell’Italia medievale e mo-
                derna, G. Giappichelli Editore, Torino, 1994, p. 149.
                   43  M.A. Russo, I testamenti di Matteo Sclafani (1333-1354), «Mediterranea. Ricerche
                storiche», 5 (dicembre 2005), docc. I-III.
                   44  Ead., Sciacca, l’Infanta Eleonora e Guglielmo Peralta: tre nomi intrecciati in un’unica
                storia, «Schede medievali», 38 (gennaio-dicembre 2000), p. 293
                   45  Ivi, pp.  243-246. Nel 1407 il re stabilì che Isabella avesse 11.000 fiorini entro due
                anni, oppure Bivona.
                   46  Asp, N, reg. 3, Salerno de Peregrino, cc. 39v-4v. Il 9 settembre i figli ratificarono
                la permuta.
                   47  Asp, N, reg. 82, Enrico de Cortisio, cc. 53v-54v.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XX - Agosto 2023
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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