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                quell’incontro, sono aggiunti nel volume anche altri testi, che nell’in-
                sieme risultano utili a chiarire una congiuntura epocale che fu di par-
                ticolare rilievo nelle vicende e nelle fortune della penisola italiana nel
                più ampio contesto europeo.
                   Intanto, si conviene, e giova segnalarlo subito, che l’evento del 29
                ottobre 1268, allorché in Piazza del Mercato a Napoli caddero le teste
                del giovane principe degli Hohenstaufen, dell’altrettanto giovane cu-
                gino Federico d’Austria e degli altri nobili ritenuti allo svevo sodali,
                suscitò un’eco immediata ed amplificata al punto da esser configurato
                rapidamente secondo i tratti tipici del ‘mito’.
                   Com’era avvenuto per la repentina, improvvisa scomparsa di Fede-
                rico II, il “più grande principe del mondo”, allorché il cronista incredulo
                che il Sol invictus potesse essere tramontato aveva forgiato il suo “vivit
                et  non  vivit”  dando  avvio  ad  un  lungo  processo  di  ‘cristallizzazione
                dell’immagine’, nel bene o nel male, durato per secoli e solo con faticosi
                studi alquanto rimosso, così per il nipote dello Stupor mundi, l’ultimo
                degli Hohenstaufen, la ‘spettacolare’ drammaticità dell’esecuzione ne
                agevolava l’accesso alla sfera del mito: o “agnello sacrificale”, vittima
                innocente in osservanza del precetto tipicamente germanico di taci-
                tiana  lettura  secondo  cui  “suscipere  inimicitias  necesse  est”  ovvero
                anello ultimo di una viperea stirps erede genetico di un sangue im-
                puro, di un’aspide, di chi ha il cuore più duro di quello del Faraone.
                   Su questo aspetto, a chiusura della silloge, si sofferma in partico-
                lare il contributo di Arnold Esch, mettendo, provvisoriamente, da parte
                la  storia  e  le  fonti  storiche.  In  tale  prospettiva,  Esch  muove  acuta-
                mente da una ‘premessa’ decisiva nella duplice fase, costruttiva ed in-
                terpretativa:  «nel  mito  si  entra  soltanto  se  si  viene  giustiziati  senza
                colpa». Ed è questo il motivo che rende di per sé rilevante la questione
                della legittimità formale del processo, della condanna a morte e della
                decapitazione di Corradino e dei suoi ‘Brothers in Arms’. Lo stato di
                avanzamento  della  ‘costruzione’,  già  rilevabile  nelle  ‘cronache’  al-
                quanto fededegne perché coeve, anche se non in tutto coincidenti, di
                Saba Malaspina e di Bartolomeo di Neocastro, diviene così ‘prodro-
                mico’, secondo Esch, della ‘visione’ prospettata nell’Ottocento da Fer-
                dinand Gregorovius nei suoi Wanderjahren in Italien. Lo storico, in-
                fatti, nelle sue Passeggiate narrava che raggiunto Capo Astura, ove
                Corradino e i suoi amici in fuga dopo la rotta di Tagliacozzo erano stati
                catturati a tradimento da Giovanni Frangipane per essere consegnati
                vilmente a Carlo d’Anjou, si era sentito pervaso dall’emozione che nel
                suo animo suscitava la vittoria tedesca su Napoleone III a Sedan. Vi
                scorgeva senza meno, in una sorta di ‘trasposizione’ emotiva, la ‘ven-
                detta’ per l’ingiuria inferta al giovane Staufer: la ‘singolare’ percezione
                de  «la  rinascita  dell’Impero  degli  Hohenstaufen  negli  Hohenzollern»
                dall’intellettuale tedesco toccato dal clima romantico veniva legata in





                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XX - Agosto 2023
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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