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                gneri  e soprattutto non si era avviata alcuna opera di bonifica, nem-
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                meno il prosciugamento degli specchi d’acqua paludosi. In risposta a
                una supplica dai toni drammatici, in cui si riferiva come «tutto il quar-
                tiere risuona dei gemiti delle vedove e pupilli, resi orbi dei loro parenti
                trapassati  nella  contagiosa  epidemia» ,  il  sovrano  intimò  alla  Su-
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                prema deputazione di avviare i lavori . Tuttavia, un ostacolo insor-
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                montabile era costituito dal principe di Villafranca che, «con molte ra-
                gioni e documenti», cercava di dimostrare che non era necessario re-
                cidere il canneto e di non essere obbligato a costruire un acquedotto
                «fuori la sua possessione contigua al piano dell’Ucciardone», per ga-
                rantire il deflusso delle acque .
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                   A metà marzo, gli abitanti del Borgo invocarono nuovamente e ot-
                tennero  un  intervento  del  sovrano  presso  la  magistratura  sanitaria
                centrale, affinché si eseguissero le opere necessarie alla tutela della
                salute pubblica. La Suprema deputazione difese il suo operato, ricor-
                dando al re i notevoli sforzi «per l’estirpazione della febbre micidiale»,
                soprattutto tramite l’invio di medici e l’«approntamento dei medica-
                menti» – per gli interventi erano state stanziate 1660 onze del «fondo
                intangibile» e di queste ne erano state spese più di 1650 –, rimarcando
                la propria ferma intenzione di compiere azioni radicali, atte a evitare
                che l’epidemia si ripresentasse. Tuttavia, molti mesi dopo l’intervento
                degli “ingegneri camerali”, non erano state eseguite le opere da loro
                indicate, poiché non erano state reperite le 126 onze necessarie e non
                si era dunque potuto approfittare dei mesi invernali. Già da gennaio
                l’istituzione  sanitaria  aveva  iniziato  a  chiedere  di  poterle  prelevare
                nuovamente dal «fondo intangibile» e da «varie altre provvidenze».
                   Proprio a seguito di quanto riferito dalla Suprema deputazione, il
                sovrano concesse di utilizzare 600 onze del «fondo fisso intangibile»
                                                                                  88
                –  inizialmente  destinate  a  pagare  all’amministratore  del  duca  di


                   84  Nota della Segreteria reale (Ivi, carte non numerate, 25 gennaio 1811).
                   85  Supplica della «popolazione del quartiere del Borgo» (Ivi, carte non numerate,
                25 gennaio 1811 – data di un appunto di segreteria). I firmatari erano don Giovanni
                Villa e Scala, don Giuseppe Rinaudo, don Ignazio Cusmano, don Gaspare Fardella,
                don Andrea Ingrassia, don Gerolamo Ingrassia, Francesco Inzerillo, Paolo Inzerillo,
                Luis  Genez,  Antonino  Lopez,  Francesco  Caruccioli  al  posto  dell’analfabeta  Gio-
                vanni Braggano, Francesco Villa.
                   86  Nota della segreteria reale (Ivi, carte non numerate, 25 gennaio 1811).
                   87  Nota della Segreteria reale (Ivi, carte non numerate, documento non datato
                ma con ogni probabilità del gennaio 1811).
                   88  Consulta della Suprema deputazione generale di salute pubblica (Ivi, carte
                non numerate, 14 marzo 1811); cfr. anche Il Senato di Palermo al sovrano, Palermo
                14 marzo 1811 (Ivi, carte non numerate); Memoriale di Giuseppe Alliata Moncada,
                principe di Villafranca (Ivi, carte non numerate, non datato ma con ogni probabilità
                dell’aprile 1811).



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XX - Dicembre 2023
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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