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576 Sara Manali
Sulle prime, se non si considerano i dati di contesto, potrebbe sem-
brare un goffo, o superbo, tentativo di attirare attenzioni da parte delle
comunità arbëreshe di Sicilia. In realtà, il quadro politico e religioso
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che si era composto in area europea nel secolo precedente, dagli inizi
del XVIII, giustificava la scelta della missiva e scagionava il clero si-
culo-albanese da ogni giudizio di tracotanza.
Dal punto di vista religioso e, segnatamente, confessionale, nel
corso del Settecento si erano determinati dei particolari indirizzi di ‘ge-
stione’ relativamente alle comunità arbëreshe d’Italia, poi tradotti in
norme da parte della massima autorità ecclesiastica. I rapporti con la
Chiesa di Roma, a tutti i livelli, locale e centrale, hanno costituito il
quadro giurisdizionale tanto civile quanto religioso entro cui si sono
mosse le comunità. La sopravvivenza di queste ultime, che si è tradotta
in una difesa delle loro peculiarità – religiose, linguistiche, culturali
tout court –, si è realizzata attraverso due secoli di contrattazioni e ne-
goziazioni con i vescovi locali, con la Santa Sede e con autorità eccle-
siastiche intermedie nonché, in alcuni casi, anche con la Corona. I
vari punti di snodo di questa secolare vicenda sono stati, da un lato,
le disposizioni ecclesiastiche in materia canonica di regolamentazione
dei riti greci all’interno della cristianità cattolica , dall’altro, i vari ten-
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tativi da parte delle popolazioni arbëreshe di autoconservazione me-
diante la creazione di istituzioni ecclesiastiche – monasteri, collegi, se-
minari, collegiate, vescovati – dall’interno delle quali poter resistere a
ogni tentativo di assimilazione o, peggio, di annullamento.
Il lungo processo di contaminazione ha dunque visto la contrapposi-
zione tra la Chiesa cattolica, che si è prodigata in continui aggiusta-
menti e interventi, cercando di epurare il rito da tutto ciò che riteneva
scismatico, dall’altro gli italo-albanesi che, di contro, quei riti li hanno
difesi perché cardini della propria identità, più della lingua e più della
‘nazione’ . La formazione di questa ibrida ma consapevole fisionomia
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2 Etnonimo che qualifica le comunità albanesi di storico insediamento dell’Italia
meridionale fondate a seguito di flussi migratori iniziati a partire dal secolo XV e
provenienti dal Sud-est europeo, in prevalenza dall’Epiro e dal Peloponneso.
3 Come la Perbrevis instructio super aliquibus ritibus Graecorum (Clemente VIII,
1595) e la Etsi Pastoralis (Benedetto XIV, 1742). Sul tema si veda I. Ceffalia, Lo status
ecclesiale-canonico delle comunità bizantine cattoliche d’Italia. Questioni e prospettive
di uno sviluppo giuridico, Pontificia Università Lateranense, Roma, 2005.
4 Il tema, di particolare complessità, è stato e continua a essere al centro di nu-
merosi studi e riflessioni. Cfr. sulla questione della costruzione identitaria su tutti
M. Mandalà, Mundus vult decipi. I miti della storiografia arbëreshe, II ed., Fondazione
Universitaria “Francesco Solano”, Università della Calabria, Rende, 2009; si vedano
anche A. Falcetta, Ortodossi nel Mediterraneo cattolico. Frontiere, reti, comunità nel
Regno di Napoli (1700-1821), Viella, Roma, 2016; E. C. Colombo, Il Cristo degli altri.
Economie della rivendicazione nella Calabria greca di età moderna, New Digital Fron-
tiers, Palermo, 2018; per l’uso del termine ‘greco’ in relazione ai primi tempi dell’inse-
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XX - Dicembre 2023
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)