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596 Francesco Campennì
definizione è di Cirese) ovvero del controverso rapporto tra cultura «po-
polare», o «folklorica» (come si preferì aggettivarla per ovviare a una
genericità terminologica), in quanto espressione delle classi subal-
terne, e la cultura «dotta», «ufficiale», ovvero delle élites e delle istitu-
zioni egemoni. Un rapporto che fu indagato spaziando dalla storia so-
ciale a quella religiosa, considerando diversi approcci e terreni d’inda-
gine, come la cultura della morte, la pluralità degli ordinamenti giuri-
dici, il rapporto confessionale/magico, quello tra «arcaismo alienante»
e livello contestativo, tra città e campagna, tra oralità e scrittura, più
in generale tra morfologia e storia; ma declinando queste relazioni, ge-
neralmente, secondo la categoria interpretativa della conflittualità tra
cultura egemone e subalterna, al punto da individuare “due” distinte
culture, con codici valoriali e strategie di affermazione autonome.
In Italia questa prospettiva prende corpo negli anni Cinquanta a
partire dalla suggestione delle riflessioni di Gramsci sul folklore e la
letteratura nazionale, in cui si introduceva un’opposizione binaria in
termini di egemone/subalterno, ufficiale/folklorico, colto/semplice .
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L’ulteriore specificazione in Gramsci di sottoculture subalterne e la
possibilità stessa di un «folclore moderno», laddove esso complicava la
«tradizione» , si tradussero nell’esortazione a una ricerca sul campo
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che verificasse quelle premesse teoriche in situazioni socio-economi-
che storicamente determinate, inaugurata negli anni Cinquanta per il
Mezzogiorno dalle «spedizioni etnologiche» di Ernesto de Martino .
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Dalla suggestione gramsciana prese le mosse tra gli anni Sessanta e
Settanta, sviluppandola secondo autonomi percorsi teorici ed empirici,
una generazione di antropologi sociali italiani (tra i maggiori, Alberto
Mario Cirese, Vittorio Lanternari, Diego Carpitella, Luigi M. Lombardi
Satriani e altri più direttamente legati alla scuola demartiniana, come
Annabella Rossi e Clara Gallini) che interagirono fittamente con i col-
leghi storici culturali, anche questi procedenti secondo percorsi e con
esiti autonomi (da Carlo Ginzburg, a Gabriele De Rosa, Giuseppe Ga-
lasso, Rosario Villari, tra i più attenti al tema della cultura di popolo
in Italia). Ancora dalla lezione di Gramsci, si intese indagare sulla spe-
cificità del Mezzogiorno nel contesto storico italiano e di quest’ultimo
nel contesto dell’Occidente europeo. Ciò avvenne – in quella temperie
culturale degli anni Settanta oggi così stigmatizzata per la carica
1 A. Gramsci, Osservazioni sul folclore, in Id., Letteratura e vita nazionale, Roma,
Editori Riuniti, 1971, pp. 265-274; Id., Gli intellettuali e l’organizzazione della cul-
tura, Roma, Editori Riuniti, 1971. Cfr. G.B. Bronzini, Come nacquero le Osserva-
zioni sul folclore di Gramsci, in «Lares», 68, 2002, n. 2, pp. 195-224.
2 A. Gramsci, Osservazioni sul folclore cit.
3 R. Di Donato, I Greci selvaggi. Antropologia storica di Ernesto De Martino,
Roma, Manifestolibri, 1999; C. Gallini, a cura di, Ernesto de Martino e la formazione
del suo pensiero. Note di metodo, Napoli, Liguori, 2005.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XX - Dicembre 2023
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)