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100 Andrea Profeta
1. Guaritrici e fattucchiere. Riti e superstizioni delle streghe siciliane
Nelle Madonie del primo Seicento, ricorrere alla stregoneria era un
fatto comune e socialmente accettato . La fiducia nelle arti magiche
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non costituiva esclusiva prerogativa dei meno istruiti, ma era diffusa
anche tra i più alfabetizzati. La Corte Spirituale di Isnello, impegnata
a contrastare il fenomeno, indagò nel 1607 Antonia Tulia, una nota
guaritrice a cui moltissimi richiedevano riti curativi. Il successo dei
suoi rimedi aveva assicurato alla strega guadagni decennali e fama
presso l’intero contado. Esasperati dai malanni, l’avevano consultata
persino il cappellano della chiesa madre e un rispettabile notaio .
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Quattro anni più tardi fu condotta al cospetto del vicario di Isnello una
cinquantaseienne nativa di Castelbuono, Paola Laparo. I suoi accusa-
tori, meno numerosi rispetto a quelli di Antonia, addussero le mede-
sime ragioni per giustificarsi di averla interpellata. Dinanzi a infermità
persistenti e difficili da trattare, la vox populi suggeriva sistematica-
mente di rivolgersi alle magàre .
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Le terapie delle streghe di Isnello assomigliavano per molti aspetti
ai riti della medicina comune d’antico regime . Nell’Europa della
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prima età moderna, cerusici e guaritrici erano percepiti come «opera-
tori terapeutici» specializzati, i cui strumenti frequentemente coinci-
devano . In Sicilia, dove la professione medica fu progressivamente
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interdetta alle donne, le guaritrici entrarono in circuiti non ufficiali
pur proponendo gli stessi rimedi degli uomini . I loro riti furono
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13 Il teste accusatorio di un processo per sortilegio poteva ammettere di essersi
rivolto a una magàra senza temere l’intransigenza dell’autorità giudiziaria. Era suf-
ficiente che giustificasse il ricorso alle arti magiche come una ultima ratio dovuta
alla propria disperazione (cfr. Aspi, Chiesa Madre, Sez. 3, s. 5, n. 6, D. 3, ff. 3r, 4r-
7v; D. 6, ff. 2r-v; D. 7, ff. 1r-3r).
14 Ivi, D. 3, ff. 5r-v.
15 Ivi, D. 7, f. 2r.
16 La farmacologia che si autodichiarava «scientifica» non disdegnava pratiche
apparentemente stregonesche. Si veda R. Jütte, The Social Construction of Illness
in the Early Modern Period, in J. Lachmund, G. Stallberg (a cura di), The Social
Construction of Illness. Illness and Medical Knowledge in past and present, Institut
für Geschichte der Medizin der Robert Bosch Stiftung, Stoccarda, 1992, p. 29.
17 La definizione è di G. Fiume, Salute e malattie, medicina e guarigione nell’Eu-
ropa moderna e contemporanea, in «Quaderni Storici», n. 105 (2000), p. 844. Le
terapie ufficiali e quelle cosiddette popolari furono accomunate per secoli da oralità
e gestualità. Si rimanda a D. Gentilcore, Was there a “Popular Medicine” in Early
Modern Europe?, in «Folklore», n. 115 (2004), pp. 151-166.
18 La presenza di professioniste ebree, non costrette ad agire nella clandestinità,
è ancora attestata tra i medici di Sicilia nel tardo Medioevo. Si vedano I. Gagliardi,
Anima e corpo. Donne e fedi nel mondo mediterraneo (secoli XI-XVI), Carocci, Roma,
2023 e A. Scandaliato, L’ultimo canto di Ester. Donne ebree del Medioevo in Sicilia,
Sellerio, Palermo, 1999. Più tardi, le uniche figure femminili del comparto sanitario
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XXI - Aprile 2024
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)