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Le streghe di Isnello. La magia come crimine nelle Madonie d’antico regime 105
comparizione emesso dal vescovo nello stesso mese . Probabilmente,
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poiché nel feudo dei Santacolomba gli incantesimi di Perna e Antonia
erano molto richiesti e considerati di grande efficacia, non si trovò nes-
suno disposto a querelarle.
In generale, le streghe-farmaciste di Sicilia godevano quasi sempre
di buona fama, erano pienamente inserite nella comunità e potevano
ambire a vantaggi economici e prestigio sociale . Analoghe condizioni
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caratterizzavano la vita pubblica di tutte quelle magàre che utilizza-
vano i propri incantesimi a scopi benefici.
Nel 1612 la Corte Spirituale di Isnello processò Angela Bonafede,
fattucchiera esperta in remedi d’amore. Neppure contro di lei era
giunta alcuna querela e non fu semplice per il tribunale reperire testi-
moni accusatori. Si ottennero, infine, due sole deposizioni riferite al
medesimo episodio: il consulto richiesto alla Bonafede da una tale Ca-
terina Di Lorenzo poiché «con suo marito mai stavano in pace» . La
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strega, dietro il pagamento di nove tarì, avrebbe richiesto e ottenuto
un indumento appartenente all’uomo per incantarlo e risanare così il
matrimonio. Caterina ammise di fronte alla corte di essersi affidata
alla magia poiché «Angela havìa cunzato a molti personi», ma nessun
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altro dei suoi assistiti fu mai identificato dalla Curia .
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Querele e testi accusatori scarseggiavano anche quando l’imputato
apparteneva al ceto degli honestiores . Quando nell’agosto del 1611
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la Corte Episcopale di Cefalù perseguì Don Arnaldo Santacolomba, si-
gnore di Isnello, reo di ammettere «cosi suspiziosi» nel territorio da lui
45 L’informatio si protrasse per circa una settimana: iniziò l’8 e si concluse il 15
luglio. Il vescovo Martino Mira emise il mandato di comparizione il 22 luglio. Cfr.
Asdc, Fondo Curia, Busta 69, n. 231, f. 70r.
46 M. S. Messana, Inquisitori, negromanti e streghe nella Sicilia moderna (1500-
1782), Sellerio, Palermo, 2007, pp. 62-63.
47 Aspi, Chiesa Madre, Sez. 3, s. 5, n. 6, D. 6, f. 2r.
48 La sfera semantica del verbo cunzari è amplissima. Nel suo significato più
elementare, può essere inteso come «ridurre a bene, mettere in sesto», in questo
caso (probabilmente) aggiustare. Cunzari, però, dal suo uso più pratico (conciare
le pelli) vale anche per «mettere insieme». Non è escluso, dunque, che Angela Bo-
nafede fosse esperta non solo di risanare matrimoni, ma anche di creare nuovi
amori. Si rimanda alle voci Cunzamentu, Cunzari, Cunzarìa in M. Pasqualino, Vo-
cabolario siciliano etimologico cit., vol. I, pp. 394-395.
49 Aspi, Chiesa Madre, Sez. 3, s. 5, n. 6, D. 6, f. 1v.
50 Si insiste spesso sul trattamento discriminatorio riservato ai più umili da
parte di fori vescovili sempre pronti a concedere massimo credito ai notabili. Si
vedano, tra gli altri, E. Brambilla, La polizia dei tribunali ecclesiastici e le ri-
forme della giustizia penale, in L. Antonelli, C. Donati, Corpi armati e ordine
pubblico in Italia (sec. XVI-XIX), Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003, pp. 107-
108 e S. L. Cuccia, La Lombardia alla fine dell’Ancien Régime, il Mulino, Bolo-
gna, 1971, p. 109.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XXI - Aprile 2024
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)