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Le streghe di Isnello. La magia come crimine nelle Madonie d’antico regime 101
sempre familiari a chi vi assisteva e, nella percezione di quanti ne fa-
cevano richiesta, non costituivano affatto pratiche sovversive. Gli un-
dici testi accusatori del processo di Antonia Tulia descrissero con pre-
cisione (ma senza scandalo) i rituali dell’imputata, sebbene consape-
voli della gravità di un’accusatio de sortilegiis.
La farmacopea era vastissima nella sola Isnello. «Lo sortilegio dello
oglio», tra i rimedi più abituali, serviva ad appurare un eventuale ma-
leficio per determinare la causa del malanno . La strega riempiva un
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piatto d’acqua, lo avvicinava al presunto ammaliatu (o ad un oggetto
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di sua proprietà) ed era in grado di accertare l’avvenuta fattura sem-
plicemente versandoci dentro dell’olio .
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Verificato il veneficio, si procedeva alla terapia propriamente detta
e, nella maggioranza dei casi, veniva impiegata dell’acqua allo scopo
di “lavare via” il male. Nell’inverno del 1606, tale Isabella Battaglia
sottopose «un so niputello che gli era malato» alle cure di Antonia Tu-
lia. Certa che fosse stato stregato, la magàra spogliò il ragazzo, lo de-
terse, lo pose «dentro la naca e lo perfumò con certi herbi et incenso
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benedicto» . Si trattava di un rituale molto comune. Dopo la purifica-
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zione, il malcapitato veniva steso sul letto, avvolto da tovaglie vario-
pinte, ornato di monili e rosari e, infine, ricoperto di frutta secca, for-
maggi e pane.
Simili pratiche, attestabili anche fuori da Isnello, dovevano essere
tipiche di tutta l’area delle Madonie. Anche Nora, strega di Gratteri,
soleva ungere gli infermi di erbe aromatiche e «ci facìa mettiri di supra
rimasero le mammane, cui era concesso un compenso, come testimonia il largo
ricorso che gli stessi tribunali episcopali facevano delle loro competenze per accer-
tare le accuse di stupro (cfr. Asdc, Fondo Curia, Settore Giudiziario, Processi cri-
minali, s. 540, n. 7, ff. 11r-11v; s. 541, n. 20, f. 4r e Cem, Acta Originalia, Vol.
488, D. 12, f. 161v; Vol. 503, D. 2, f. 19v; Vol. 505, D. 51, f. 308v; Vol. 506, D. 33,
f. 279r)
19 Aspi, Chiesa Madre, Sez. 3, s. 5, n. 6, D. 3, ff. 11v-12r.
20 Dall’inequivocabile etimo latino (malum cioè male), ammaliari è traducibile
come «fare malie, ammaliare, fascinare, veneficio afficere»: cfr. M. Pasqualino, Vo-
cabolario siciliano etimologico cit., t. I, p. 86.
21 Nei processi di Isnello, la pratica ritorna con enorme assiduità (cfr. Aspi,
Chiesa Madre, Sez. 3, s. 5, n. 6: D. 3, ff. 3r, 4r, 5r, 6r-7r, 8r-9r, 10v-11r, 12r; D.
7, ff. 2r-v). Antonia Tulia era solita ripetere il medesimo incantesimo una seconda
volta, impiegando piombo liquefatto invece dell’olio (cfr. ivi, ff. 2v, 6v-7r). Nella Si-
cilia spagnola, peraltro, l’uso di oli è largamente attestato anche nei rituali di esor-
cismo come simbolo di unzione e purificazione (cfr. M. S. Messana, Il Santo Ufficio
dell’Inquisizione. Sicilia 1500-1782, Istituto Poligrafico Europeo, Palermo, 2012,
pp. 138-140). Non è difficile immaginare che le magàre di Isnello volessero esorciz-
zare il male ispirandosi direttamente alle pratiche della Chiesa.
22 La naca era una sorta di culla (cfr. M. Pasqualino, Vocabolario siciliano eti-
mologico cit., t. III, p. 240).
23 Aspi, Chiesa Madre, Sez. 3, s. 5, n. 6, D. 3, ff. 5v-6r.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XXI - Aprile 2024
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)