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                   Nell’inverno del 1614 tale Antonia Fiorella, vedova cinquantenne e
                «strega per fama pubblica» , fu accusata da Giuseppe Coccìa di aver
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                provocato l’infermità della moglie . La querela richiamò alla corte spi-
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                rituale un nutrito gruppo di sedicenti vittime e le accuse si moltiplica-
                rono in pochi giorni. Una delle querelanti riferì di aver consultato un
                noto guaritore di Castelbuono per via della lunga malattia di sua figlia,
                «alla quali non li giovavano rimedi di medici». La piccola, stregata pro-
                prio da Antonia secondo il parere del magàro, «si morsi con ditta in-
                fermità». Un’altra comparente raccontò di aver accettato «un platto di
                lasagni al sugo» donatole dalla strega per farle assaggiare al marito,
                che «mangiati ditti lasagni si misi a letto malato e si morsi». Numero-
                sissimi  testimoni  suffragarono  la  deposizione  della  vedova,  confer-
                mando di aver sentito parlare delle lasagne stregate .
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                2. Citatio de sortilegiis. Le ragioni della querela

                   La Corte Spirituale di Isnello, al pari degli altri fori, poteva perse-
                guire le streghe secondo due differenti tipi di istruzione: il processo ex
                officio e il processo su querela di parte. Nel primo caso, l’atto di cita-
                zione de sortilegiis – che avviava la fase dibattimentale – era immedia-
                tamente successivo a un procedimento preliminare utile a perimetrare
                l’accusa. La fase di indagine era realizzata a mezzo di prove testimo-
                niali e culminava con l’imputazione, la denuntiatio, o con l’archivia-
                zione, ove fosse stata accertata l’infondatezza dell’accusa. Contro An-
                tonia Tulia e Perna Coccìa, ad esempio, il vicario curato procedette ex
                officio, allertato dalla loro fama di guaritrici, e il procuratore fiscale si
                assunse  interamente  l’onere  dell’accusa .  Le  indagini,  svoltesi  a
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                Isnello nel luglio 1607, procurarono alle due magàre un mandato di


                   41  Ivi, D. 2, f. 4v.
                   42  I Coccìa, seppur formalmente privi di un titolo nobiliare, erano tra le famiglie
                più insigni dell’intera baronia. Nicolò, loro quintogenito, aveva avuto per padrino
                uno dei Santacolomba (cfr. Aspi, Chiesa Madre, Sez. 2, s. 5, n. 1, c. 69v).
                   43  Per i verbali riportati e le querele si consulti Aspi, Chiesa Madre, Sez. 3, s. 5,
                n. 6, D. 8, ff. 1r-5v. L’uso di incantare (o semplicemente avvelenare) la pasta non
                è  attestabile  nella  sola  Isnello.  Nel  maggio  1627,  il  tribunale  vescovile  di  Malta
                citava in giudizio due monache benedettine per aver tentato di uccidere una con-
                sorella con un piatto di tagliatelle al sugo riempito di arsenico. Le monache furono
                giudicate colpevoli, sospese dall’Ordine e condannate alla carcerazione (cfr. Cem,
                Acta Originalia, Vol. 504, D. 16, ff. 182r-203v). Gli esiti del processo Fiorella, in-
                vece, non sono noti: l’incartamento è privo di sentenza. È probabile che la strega
                non poté uccidere la moglie del Coccìa. La vittima del maleficio morì, infatti, l’8
                agosto del 1627 (cfr. Aspi, Chiesa Madre, Registro processioni defunti 1627-1628,
                c. 4v).
                   44  Aspi, Chiesa Madre, Sez. 3, s. 5, n. 6, D. 3, ff. 1r, 3r.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XXI - Aprile 2024
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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