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Le streghe di Isnello. La magia come crimine nelle Madonie d’antico regime 103
tentò di fari la magarìa ai Santacolomba. Numerosi testimoni riferi-
rono di averla sorpresa mentre cercava di procurarsi un «cannolo di
canna» che avrebbe voluto incantare e gettare nei pressi della dimora
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baronale . Si diceva, inoltre, che la strega volesse reperire un «cunno
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di asina magra » per farlo ingerire al barone . La magàra avrebbe
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voluto indurre Simone Santacolomba a cibarsi della vagina dell’ani-
male con l’intento di colpire donna Elena: un maleficio così concepito
intendeva probabilmente mirare al talamo dei due nobili.
In genere, però, i venefici seguivano un rituale preciso, perfetto con-
trappasso delle scrupolose ricette dei guaritori. Il nodo, come già si
evince dalla criminalistica dell’epoca, era sintesi e simbolo della stre-
goneria compiuta per infliggere dolore . Nel 1597, in effetti, Michela
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Brigaglia si servì proprio di un nodo per dimostrare di essere una fat-
tucchiera. Secondo il racconto della sua vittima, la strega adoperava
un nastro di seta per legare insieme i propri «vergognosi» ingredienti:
«pili di capilli, pili di ciglia, pili di ascilli, pili de li secreti di bascio,
ugna de mano et ugna de pedi» . Gli effetti di simili sortilegi erano
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molteplici: un groviglio composto da tre chiodi, per esempio, poteva
«chuncare » il malcapitato oppure renderlo impotente . In molte oc-
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casioni, poi, le fatture non si limitavano a indurre il malanno, ma si
spingevano fino ad uccidere.
33 Cannolo era, in generale, un «cannello voto dentro, per lo più di ferro o
bronzo» da porre «nelle fontane per farvi correre l’acqua». Il cannolo di canna, ov-
vero un pezzo di canna tagliato trasversalmente, era invece utilizzato per la filatura
della seta o del cotone e aveva una lunghezza di circa «mezzo braccio». Si rimanda
alla voce cannolo in M. Pasqualino, Vocabolario siciliano etimologico cit., p. 245.
34 Tre dei quattro testimoni dell’accusa menzionarono, concordi, l’utilizzo del
suddetto cannolo come strumento principale del maleficio. Si veda Aspi, Chiesa
Madre, Sez. 3, s. 5, n. 6, D. 1, ff. 1v-3r.
35 Cunno è italianizzazione del siciliano cunnu, «cioè fica». Si veda M. Pasqua-
lino, Vocabolario siciliano etimologico cit., t. I, p. 384.
36 Aspi, Chiesa Madre, Sez. 3, s. 5, n. 6, D. 1, f. 3r.
37 Alcuni manuali di diritto penale attestavano la certezza di un maleficio nella
presenza di «stringhe, corde, nastri, capelli o altro annodati» (cfr. A.M. Cospi, Il
giudice criminalista, Nella Stamperia di Zanobi Pignoni, Firenze, 1643, p. 367).
38 Aspi, Chiesa Madre, Sez. 3, s. 5, n. 6, D. 2, f. 5r. Il pericolo di un simile
garbuglio era avvertito a tutti i livelli sociali: i più semplici cittadini ne avevano
orrore, i giuristi proibivano persino ai funzionari dei tribunali di «alterare le lega-
ture predette» e pretendevano che fossero consegnate «a qualche buon religioso»,
affinché le bruciasse «seguendo l’arte esorcistica» (cfr. A.M. Cospi, Il giudice crimi-
nalista cit., p. 368).
39 Chunco è «storpiato, monco». Si rimanda a M. Pasqualino, Vocabolario sici-
liano etimologico cit., t. I, p. 329.
40 Le informazioni sono tutte ricavate dai verbali di testimonianza accusatoria
del processo contro Michela Brigaglia. Si veda Aspi, Chiesa Madre, Sez. 3, s. 5, n.
6, D. 2, ff. 4v-5v.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XXI - Aprile 2024
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)