Page 218 - Mediterranea-ricerche storiche, n. 47, dicembre 2019
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                 vollero insediare non meno spiritualmente che materialmente, non giovando
                 così abbastanza alla disinteressata religione di Cristo. Quel commercio, che i
                 Gesuiti tentavano una volta all’ombra, oggi esercitano in tutto il mondo a piena
                 luce del sole in terra ed in mare, proprietari anonimi di ricche case di com-
                 mercio e di flotte mercantili. L’arrivo in orario della moda parigina nella colonia
                 Europea del Giappone è regolato quasi esclusivamente dalle pie monache fran-
                 cesi, che ho veduto io stesso in giro per le famiglie trarre un profano guadagno
                 della [sic] vendita di articles tutt’altro che religieuses chè [sic] erano guanti e
                 calze di seta e merletti e profumi e tinture per imbellettarsi e cento altri gingilli
                 di questo mondo perverso, e né sante corone, né benedetti scapolari, né botti-
                 gline di acqua di Lourdes (Santini:324s).

                    Nell’ultima parte del suo resoconto sul Giappone, ovvero su Yoko-
                 hama e Tokyo, Santini trae per così dire le somme di quanto scritto nelle
                 pagine precedenti, e intitola il capitolo conclusivo della sezione nipponica
                 nel suo lungo resoconto di viaggio, «Usi giapponesi» (Santini:330-345).
                 Nelle questioni «etnografiche e antropologiche» circa l’origine e le carat-
                 teristiche etniche dei giapponesi, Santini afferma immediatamente,
                 all’inizio del capitolo, che non intende addentrarsi, sia perché è incom-
                 petente in materia, sia perché l’oggetto è estraneo alla materia principale,
                 narrativa e descrittiva, del suo libro. Ma siamo in pieno discorso razziale,
                 quando non razzistico, nel contesto europeo, un discorso che tocca per
                 primi i cinesi, ma in generale tutte le “razze” non caucasiche. E Santini
                 non può fare a meno di accennare alla cosa: «La branca giapponese della
                 grande razza mongoloide si differenzia alquanto dalle altre, specialmente
                 nella perfezione delle forme» (Santini:330).
                    E proprio sulla bellezza, maschile e muliebre, Santini, deposti gli
                 abiti dello scienziato mai veramente indossati, del resto, vuole soffer-
                 marsi. E lo fa tradendo i risvolti proprio meno scientifici, e più volgari,
                 dello scientismo razziale: la bellezza, appunto, femminile: «La Giappo-
                 nese è un tipo mignon…». E più innanzi: «È così che l’amplesso di una
                 donna giapponese, la quale alle non spregevoli qualità del corpo accop-
                 pia le più preziose doti dell’animo e l’artistica eleganza dell’abbiglia-
                 mento, sia tutt’altro che disgradevole» (Santini:331). Prosegue poi
                 fissando alcuni momenti che potremmo dire canonici nell’orientalismo,
                 anche italiano, nei confronti del Giappone. L’allegria del popolo, capace
                 però di praticare con tutta solennità il suicidio, lo  hara-kiri, qui
                 descritto sulla base delle ormai classiche pagine di Mitford, nei suoi
                 Tales and Rites of Old Japan: «Dinanzi a tanta potenza di virtù di
                 animo, di nobile fierezza, di religione dell’onore, è d’uopo chinarsi
                 ammirati» (Santini:337).


                                                                                n. 47
                 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVI - Dicembre 2019
                 ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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