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126 Andrea Caracausi
era assai diversificato: si andava da una produzione che potremmo
definire di “lusso”, rivolta a una clientela più ricca ed elevata, a pro-
dotti più standardizzati e a buon mercato, indirizzati a più ampie fasce
della popolazione. Lo stesso avveniva per calze e bragoni.
Per quanto riguarda il settore delle passamanerie le differenze nei
prodotti erano ancor più marcate. Una prima importante distinzione
era fra i passamani veri e propri, altre volte chiamati «guarnizioni» o
«galloni», e i più semplici nastri, chiamati in area veneta «cordelle». I
primi erano prodotti di più alto valore, generalmente in seta, anche se
non mancano casi di tessitura con lana, stame o cotone. Erano rifiniti
con disegni molto ricercati e avevano i colori più svariati. Le cordelle
erano manufatti di più semplice fattura ed erano meno costosi. Anche
in questo caso, però, è possibile riscontrare un’ampia varietà di pro-
dotti. Assieme alle cordelle, la produzione di merli e pizzi si riscontrava
sempre di più, sia nelle case private che nei conventi .
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Come vedremo in seguito, queste considerazioni sono molto impor-
tanti per comprendere il ruolo svolto dagli istituti assistenziali all’interno
del sistema produttivo (e dall’orfanotrofio scelto per la nostra indagine).
Prima di addentrarci in questo aspetto, bisogna tenere presente due ul-
timi elementi: le tecniche e l’organizzazione della produzione.
Per quanto riguarda le tecniche di produzione nel campo delle ma-
glierie, queste ultime erano simili alla produzione di panni, suddivi-
dendosi in 5 fasi e più di 30 operazioni. La parte centrale era la lavo-
razione a maglia durante la quale i fili di lana erano intrecciati in forma
di maglie grazie a degli aghi lunghi e minuti di ferro (in Veneto guc-
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chia o canolo) o a piccole broches di filo di ferro o di leton poli . In
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seguito seguivano operazioni simili a quelle per i panni (purgatura,
follatura, garzatura). Le cordelle, invece, erano tessute su «telaretti»
(così chiamati nelle fonti) di minori dimensioni. Erano assai diffusi
nelle abitazioni cittadine, ma anche negli ospedali, nei monasteri e,
12 Sui lavori nei monasteri a Venezia: I. Campagnol, Penelope in clausura. Lavori
femminili nei monasteri veneziani della prima età moderna, in «Archivio veneto», s. VI, n.
3, a. CXLIII, 2012, pp. 117-125 e V. Levorato, Attività lavorative e spazi nei monasteri
femminili veneziani del XVI secolo: il monastero di Santa Maria Maddalena detto delle
"Convertite", in «Città e storia», 13 (2017), 1, pp. 13-30.
13 Contrariamente a quanto sostenuto da I. Turnau, La bonneterie en Europe du XVIe
au XVIIIe siècle, «Annales E.S.C.», 26 (1971), 5, p. 1118-1132. Vedi ASP, UL, b. 398, c.
75r-v, 5 dicembre 1594.
14 C. M. Belfanti, Maglie e calze, in C.M. Belfanti, F. Giusberti (a cura di), Storia
d’Italia, Annali 19, La moda, Einaudi, Torino, 2003, p. 583-623, p. 587. Si veda anche
I. Turnau, La bonneterie en Europe cit., p. 1122. Nel 1526, il 1 febbraio, ad esempio, è il
marescalco Silvestro della contrà di Strà Maggiore a tenere presso di sé un paio di ber-
rette del berrettaio s. Pietro della Savonarola per la «sua mercede vendendi unum agum».
Cfr. Asp, Ul, b. 48, c. 214v.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Aprile 2020
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)