Page 131 - Mediterranea-ricerche storiche, n. 48, aprile 2020flip
P. 131
Fra sistema a domicilio e manifattura accentrata. L’Istituto degli orfani nazzareni... 131
per insegnare il mestiere ed educare i ricoverati al lavoro. Nei periodi
più difficili erano però stati licenziati per essere poi riassunti .
26
Fra gli istituti caritativi sorti nel corso del XVI secolo per rispondere
al dilagante fenomeno del pauperismo vi era appunto un orfanotrofio,
noto con il nome “Pio luogo degli orfani Nazzareni”. Sorto negli anni
’20, ma distrutto nel 1559 da un incendio, fu in seguito riedificato.
Stando agli statuti, nell’istituto veniva impartita la dottrina, insegnato
un mestiere e – sembrerebbe – a leggere, ma non a scrivere. Le giornate
erano scandite da preghiera e lavoro e spesso le due attività coincide-
vano. Le ore di risposo erano otto d’inverno e sette d’estate. Il perso-
nale che accudiva gli orfani era costituito normalmente da una priora
e un priore. Pur retribuiti, si faceva ampio ricorso, per il funziona-
mento dell’istituto, agli orfani più grandi e, secondo le risorse disponi-
bili, veniva impiegato, come vedremo, un maestro o una maestra per
istruire e sovrintendere gli orfanelli nel lavoro. Nei documenti compare
spesso la presenza di un gesuita, mentre alcune “madonne” vigilavano
sul buon andamento interno. Dal momento che il numero delle putte
era molto grande, dopo alcuni anni fu necessario assumere una coa-
diutrice della priora .
27
La curia padovana era in prima linea nella gestione dell’istituto.
Almeno inizialmente, presidente del consiglio d’amministrazione era il
vescovo pro tempore di Padova e il consiglio era composto «da persone
onorate e pie», meglio descritte nel 1606 come quaranta «pietosi mer-
canti della città». Ne facevano parte anche tre deputati eletti dal Con-
siglio cittadino. Dal 1572 si cercò di limitare l’afflusso di orfani all’ente.
La stessa Ca’ di Dio qualche anno dopo deliberò di tenere i piccoli non
oltre gli otto anni, che dovevano così passare in carico all’orfanotrofio,
il quale non avrebbe ricevuto bambini o bambine al di sopra dei 12 o
14 anni. Le bambine in particolare dovevano sostenere l’esame di due
«pie gentildonne» che dovevano appurare se fossero state o meno degne
d’aiuto . Vi erano anche casi di persone che ritornarono in seguito
28
all’interno dell’istituto. Angela figlia di Paolo Monaro e di donna
Chiara, che era stata nell’orfanotrofio per quattro anni prima di essere
stata affidata a domino Bartolomeo Mota da S. Bruson, supplicò di
poter tornare nell’ente e, dopo aver accertato il suo essere «putta da
ben», fu accolta per «servire» .
29
26 I. Pastori Bassetto, L'assistenza a Padova cit., pp. 42, 72. Sulla Ca’ di Dio nel
Quattrocento: F. Bianchi, La Ca' di Dio di Padova nel Quattrocento : riforma e governo di
un ospedale per l'infanzia abbandonata, Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, Vene-
zia, 2005.
27 I. Pastori Bassetto, L'assistenza a Padova cit., p. 61-62.
28 Ead., L'assistenza a Padova cit., p. 63.
29 ASP, Osmg, b. 135, c. 40r, 17 ottobre 1632.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Aprile 2020
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)