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           sul vino e sui pasti caldi che loro stessi in precedenza avevano magari
           approvato tra i banchi del governo. Sarebbe tuttavia ingenuo pensare
           che i patrizi lucchesi, padroni di terre e proprietari di cantine e osterie,
           rimanessero totalmente all’oscuro della maniera in cui venivano gestiti
           i loro beni e i loro esercizi; anzi, che essi ignorassero le trasgressioni
           che spesso erano compiute costituisce, nella maggior parte dei casi,
           un’ipotesi pressoché improbabile.
              A tal proposito bisogna semmai aggiungere che, a seguito di una
           legge del 1677, gli illeciti relativi all’amministrazione delle cantine e al
           contrabbando del vino forestiero furono sottoposti allo strumento del
           discolato, una sorta di ostracismo che in simili casi prevedeva, come
           pena massima, una multa di 150 scudi se i trasgressori fossero stati
           nobili o comunque cittadini, di 25 scudi e «due tratti di corda» se fos-
           sero stati «contadini e servitori», e di 25 scudi e un mese di carcere se
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           invece si fosse trattato di «serve» . Anche questi discolati, da effet-
           tuarsi ogni due mesi all’interno del governo, mediante la distribuzione
           tra i suoi membri di cartoncini timbrati e anonimi (le così dette polize)
           su cui doveva essere annotato «tutto ciò che [fosse] a loro notitia circa
           le predette transgressioni», compreso il nome dei relativi protagonisti,
           paiono in effetti emblematici della densa compenetrazione di ruoli
           pubblici e interessi privati che caratterizzava il sistema annonario luc-
           chese.
              Attraverso il loro impiego, infatti, i nobili che governavano lo Stato
           avevano l’opportunità di denunciare tutti quei reati commerciali che
           accadevano nelle cantine situate in città e nelle Sei Miglia, oppure in
           esercizi pubblici analoghi, di cui loro stessi o i loro familiari erano in
           larga  parte  gli  effettivi  proprietari.  In  tal  modo  l’aristocrazia  locale
           diventava inquisitrice di se stessa, in una sorta di autoreferenzialità
           politico-giudiziaria che testimonia di nuovo l’estrema vischiosità della
           società lucchese di Antico Regime. Ne scaturì, appunto, un meccani-
           smo di autogestione di questi stessi esercizi diretto da parte del ceto di
           governo, con tutto quel nebuloso ventaglio di possibilità commerciali,
           dall’alleanza vera e propria alla concorrenza combattuta a colpi di
           discolati più o meno veritieri o calunniosi, che ne poteva conseguire,
           condizionando da vicino il funzionamento effettivo del sistema anno-
           nario della Repubblica.









              89  Asl, Consiglio Generale, n. 156, pp. 131-139; n. 397, pp. 154-157; Asl, Pubblici
           banditori, n. 75 (bandi del 27 novembre 1681 e 27 maggio 1684).



           Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017    n.41
           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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