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Il tumulto dei tessitori a Como nel 1790 629
sizioni dei produttori austriaci, fortemente penalizzati da tali disposi-
zioni anche per un losco contrabbando attestato ancora nel 1787, il
dibattito che si era aperto terminò adottando nel 1788 delle tariffe
mosse da un intento compromissorio: non fu introdotto alcun divieto
di importazione delle sete straniere ma furono elevati i dazi di entrata,
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stabilendo per alcune produzioni una aliquota più alta . Il problema,
come ha spiegato Capra, stava nel fatto che in Lombardia soprattutto
la nuova industria di Monza, Milano e Como già negli anni Sessanta
produceva la gran parte della seta greggia, esportata almeno per cinque
sesti come seta ritorta e poi riacquistata tessuta al prezzo quadrupli-
cato: ancora nel 1781 solo un sesto della seta prodotta nello Stato di
Milano veniva tessuta all’interno. Ecco perché il governo non lesinò
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sforzi per incoraggiare, potenziare e sostenere la tessitura .
Altrettanto vantaggiosa per la provincia lariana fu la nuova compar-
timentazione territoriale della Lombardia, rinnovata in otto province
con l’editto del 26 settembre 1786: infatti, essa fu dotata di alcune pievi
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sottratte al territorio milanese . Nel generale riassetto istituzionale, che
per Como fu comunque parziale ed è stato considerato una vera ecce-
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zione , alla guida delle province furono preposti gli Intendenti politici,
cui furono assegnate competenze di carattere politico, militare, ammi-
4 Come fu ripetutamente sostenuto, infatti, il divieto di importazione delle stoffe estere
da cui erano escluse le province italiane alimentava un commercio triangolare: stoffe
francesi comprate in Lombardia vedevano i loro marchi contraffatti e rivendute nei ter-
ritori austriaci come prodotti lombardi. A questo proposito interessante la relazione di
Stefano Lottinger presentata sul finire del 1787. Asmi, Commercio, p. a., cart. 6. Sulla
vicenda A. Cova, L’alternativa manifatturiera, in S. Zaninelli (a cura di), Da un sistema
agricolo cit., pp. 194-196.
5 C. Capra, La Lombardia austriaca nell’età delle riforme (1706-1796), UTET, Torino,
1987 , pp. 424-425.
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6 Le province erano: Milano, Mantova, Pavia, Cremona, Lodi, Como, Bozzolo e Galla-
rate. S. Cuccia, La Lombardia alla fine dell’Ancien Régime. Ricerche sulla situazione ammi-
nistrativa e giudiziaria, La Nuova Italia, Firenze, 1971, p. 17; C. Capra, La Lombardia
cit., p. 371; C. Capra, Gli italiani prima dell’Italia. Un lungo Settecento, dalla fine della
Controriforma a Napoleone, Carocci, Roma, 2014, pp. 206-212.
7 Como godette, rispetto alle altre province, di una sorta di «statuto speciale» (rimase
in vigore la ripartizione territoriale del territorio in Città, Contado e Pievi di pianura e
Valle Intelvi, fu scelto un comasco come Regio delegato e, lontano da ogni semplificazione
dell’apparato statale, dal 1775 in città il controllo governativo fu contemporaneamente
assegnato al Regio delegato – che dal 1775 fu affiancato da un Aiutante – e al Podestà).
Ciò è spiegabile nella volontà della Giunta di non entrare in urto con il patriziato cittadino
che rimase legato, molto più di quanto si sia creduto, con il ceto imprenditoriale che si
sentiva da esso rappresentato. Sulla «eccezione» comasca: S. Cuccia, La Lombardia cit.,
p. 17; C. Mozzarelli, Sovrano, società e amministrazione locale nella Lombardia teresiana,
(1749-1758), Il Mulino, Bologna, 1982, pp. 179-182 e per il ruolo svolto dal patriziato: A.
Mita Ferraro, Economia e istituzioni a Como sotto gli Asburgo: il ruolo di Gian Battista Gio-
vio, Tesi di Dottorato in Storia e dottrina delle istituzioni, Università dell’Insubria, 2013,
pubblicata on-line: http://insubriaspace.cineca.it/handle/10277/507, pp. 49-57.
n.41 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)