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           nistrativo, culturale e religioso, precedentemente disperse in figure dif-
           ferenti, privando di ogni potere i consigli decurionali della città. A Como
           fu assegnato il toscano Giuseppe Pellegrini che riuscì, in breve, a rac-
           cogliere la stima dei locali.
              Nella sola città di Como, che coi sobborghi aveva una popolazione
           di circa 15.000 abitanti, nel 1786 - dopo che il 26 novembre 1784 era
           entrato in vigore il decreto governativo che vietava l’importazione di
           stoffe straniere nelle province ereditarie - i telai attivi risultavano 928
           (contro i 387 del 1780). L’organizzazione rimase basata sulla distribu-
           zione del lavoro a domicilio o in piccole botteghe con un numero ridotto
           di telai, generalmente cinque o sei, estremamente frazionata fra tutti i
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           sobborghi della città e all’interno delle mura . Le condizioni vantaggiose
           della vendita dei tessuti e il guadagno maggiore attirarono nel settore
           una manodopera di estrazione agricola, scarsamente specializzata. La
           lavorazione si svolgeva quasi esclusivamente per conto di mercanti
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           residenti a Como . L’attività dei telai aveva però un andamento del tutto
           irregolare e difficilmente prevedibile: a distanza anche di poche setti-
           mane, al lavoro intenso subentrava la totale inattività e proprio il pro-
           cedere ondivago e imponderabile acuiva alcuni problemi sociali, prima
           sconosciuti.
              Nei quattro anni che precedono il tumulto dei tessitori (1790), il
           governo fu particolarmente vigile nel monitorare la condizione del seti-
           ficio comasco. Lo dimostra il fittissimo carteggio fra l’Intendente politico
           e il governo centrale. Ripetutamente da Vienna e da Milano furono
           chiesti chiarimenti sulla modesta qualità dei prodotti, che si riduceva
           alla produzione dei «mantini» ed era priva di tessuti più pregiati come
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           le «moare e i lustrini» . La causa principale della qualità scadente dei
           materiali e della sua conseguente lavorazione derivava dalla cattiva
           trattura del bozzolo e dall’impiego di manodopera costituita soprattutto


              8  È la relazione statistica stesa dal perito camerale Giovanni Valentini nel 1787 dalla
           quale si ricava che l’aumento del numero dei telai non corrispose a una maggiore con-
           centrazione degli stessi in aziende di maggiore dimensioni, in Asco, Camerale, c. 23, rap-
           porto del 19 aprile 1787 e Ivi, Prefettura, c. 411, fasc. 43. Per i dati relativi al numero
           dei telai attivi, A. Cova, L’alternativa cit., p. 193.
              9  «Egli è vero, che molti, intenti ad altri esercizi, quello abbracciarono di tessitore,
           parte per moda, parte per lusinga di miglior agio, e mi si dice, che i falegnami, e i sarti
           scarseggin ora di giovani», Lettera del cavaliere conte Giambattista Giovio gentiluomo di
           camera di S.M.I. al Signor Regio Intendente Politico don Giuseppe Pellegrini, [Agnelli],
           [Lugano], 1787, p. 24 e B. Caizzi, Storia del setificio comasco. L’economia, Centro Lariano
           per gli Studi Economici, Como, 1957, pp. 24-26.
              10  Lo leggiamo anche nelle dichiarazioni di Beccaria espresse nella consulta gover-
           nativa del 3 e 17 dicembre 1787. C. Beccaria, Atti di governo. Serie 4, 1787, a cura di R.
           Canetta, in Edizione Nazionale delle Opere di Cesare Beccaria, 16 voll., diretta da L. Firpo
           e G. Francioni, Mediobanca, Milano, 1984 - 2009, IX, pp. 854-864, già in C. Capra, La
           Lombardia cit., p. 426 e B. Caizzi, Storia del setificio cit., pp. 20, 22.



           Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017    n.41
           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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