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Il tumulto dei tessitori a Como nel 1790 635
nodo da sciogliere restava quello del reperimento dei fondi per
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finanziare l’opera .
Il Marchese ispezionò l’Intendenza, la Congregazione municipale, la
Camera mercantile e alcuni setifici. Positivo fu il suo giudizio sull’In-
tendente e sulla sua capacità di gestire l’ufficio, anche in assenza di
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alcuni impiegati . Nessun appunto meritava la Congregazione munici-
pale, che incontrò in occasione di una seduta, mentre giudicò male
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organizzata la Camera mercantile che suggerì di riformare . Quanto ai
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setifici, tutti collocati in ex conventi (due in città, sette fuori città ), con-
statò che il numero dei telai attivi si era ridotto a 800 contro i 1035 di
cui aveva riferito Pellegrini solo qualche mese prima quando scrisse: la
diminuzione, «se le circostanze non cambiano, andrà sempre cre-
scendo». I capi fabbrica stavano cercando di trattenere in patria le
buone maestranze; d’altra parte ora anche i pessimi operai, pur di lavo-
rare, avevano abolito ogni baldoria «del famoso lunedì». La crisi del set-
tore, come si è accennato, aveva non solo causato povertà ma anche
intaccato sempre più la qualità dei tessuti. Soprattutto i drappi, poco
diversificati e destinati al mercato austriaco, lasciavano a desiderare:
le stoffe, scriveva Beccaria, erano di cattiva qualità «e per il lustro, e per
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la diseguale tessitura», e la produzione era ormai ridotta a soli mantini .
27 In un primo momento fu presa in esame la possibilità di utilizzare una rendita
passiva di 10.000 lire dell’Opera Pia Gallio in favore del soppresso monasteo delle Orso-
line. L’azione però fu bloccata dall’amministratore del vacante, il Preposto Gianni: la
somma destinata dal fondatore alle Orsoline in quanto religiose, non poteva, come rite-
nevano le autorità civiche comasche, essere destinate ad altri scopi. Un’altra proposta,
fu quella di utilizzare il capitale di 10.000 lire del Luogo Pio dei Catecumeni già destinati
all’Ospedale Maggiore, con la giustificazione che il risanamento della palude avrebbe
prevenuto «un numero non indifferente di ammalati» di cui si sarebbe preso cura l’ospe-
dale e il risparmio della spesa presunta sarebbe stata certo superiore all’interesse dello
stesso capitale. Nel caso in cui si fosse intrapresa questa strada, Beccaria ricordava l’op-
portunità di ricercare l’assenso di tutte le parti interessate (Vescovo, Preposto Gianni,
membri della Comunità municipale), e di ordinare all’Intendenza politica di vigilare sulla
scelta delle persone da impiegare. Controlli severi avrebbero dovuto garantire l’utilizzo
«unicamente [per] le persone inoperose addette al setificio e non altri». C. Beccaria, Opere
cit., IX, pp. 857-858.
28 Pellegrini si dimostrò particolarmente disponibile verso il perito che sarebbe già
dovuto rientrare ma di cui, al momento, non si aveva «novella». Lo sostituiva, senza
aggravio di spesa, Ferranti, perito della Congregazione municipale, e un altro ingegnere
di cui omette il nome. Ivi, p. 860; B. Caizzi, Storia del setificio cit., p. 33 e Asmi, Com-
mercio, p.m., c. 322, fasc. Setificio Como.
29 L’archivio era privo di rubriche e repertori e, a differenza dell’ufficio dell’Intendente,
fra i funzionari mancava collaborazione. C. Beccaria, Opere cit., IX, p. 860.
30 Beccaria non specificava quale fase della produzione fosse posta nei soppressi
monasteri ma riportava però il nome dei proprietari delle fabbriche: «in città Sant’Euffe-
mia dei Rubini, Sant’Anna dei Fischer, e, fuori città, San Lorenzo dello Scalini, San Giu-
liano dei fratelli Majnoni, Sant’Antonio di Giacomo Caroe», e altre minori. Ivi, p. 861.
31 Ivi, pp. 861-862.
n.41 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)