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           cato di favorire le istanze lariane . Tuttavia le cose non si svilupparono
           secondo le aspettative: i delegati, infatti, cui tuttavia non venne mai
           meno l’appoggio del ceto produttivo per ragioni che meritano di essere
           ancora indagate, al loro rientro a Como a metà luglio, non poterono
           infondere la fiducia sperata, poiché la missione apparve come un vero
           insuccesso. Nell’immediato furono infatti disattese tutte le richieste che
           avrebbero rianimato l’economia cittadina, come l’istituzione di una fiera,
           il condono dei debiti di guerra, la riduzione delle tasse su beni di largo
           consumo come il frumento e il vino, la riforma del comparto delle spese
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           per le strade .
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              Solo Vianello, con riflessioni condivise anche da Dante Severin , ha
           individuato in due cause la reazione violenta dei tessitori: da una parte,
           abituati ormai da anni a ricevere sussidi, avrebbero risentito pesante-
           mente della volontà governativa di non sostenere artificialmente il seti-
           ficio comasco; dall’altra furono esaltati dalle notizie dei moti di Francia.
           Sembra dunque che, proprio quando oltralpe era già stato inferto un
           durissimo colpo all’antico regime, a Como un tumulto, forse animato
           anche dai successi del popolo vicino, divenne l’occasione per il ceto
           nobiliare della città di rinnovare antichi privilegi al tramonto.
              In realtà il tumulto fu causato dalla fame e non da pianificate riven-
           dicazioni politiche e sociali ispirate agli eventi francesi. Cinquecento
           artigiani, guidati da non più di venti uomini, si rivoltarono e per tre
           giorni paralizzarono la città. Spinti dalla fame fecero leva, più o meno
           consapevolmente, sulle loro uniche forze: il loro numero e le loro com-
           petenze.





              53  L’altro deputato fu Giorgio Porro Carcano ma il testo delle Occorrenze e le sue
           Appendici, furono scritte interamente da Giambattista Giovio. A. Mita Ferraro, Economia
           cit., pp. 102-129.
              54  Le richieste furono per la gran parte accolte da Leopoldo II, l’anno successivo (e
           ribadite nella sua breve visita in città nel giugno del 1791) ma nell’immediato le reazioni
           innescate dalle Occorrenze comasche, che generarono una reazione a catena degli altri
           delegati, furono tutte respinte. Nell’editto del 20 gennaio 1791, l’imperatore regolò, in
           cinquantasei articoli, gli oggetti di interesse generale e, con altri sessantatré, quelli rela-
           tivi alle singole province. Per quanto riguarda Como, Leopoldo ridusse il dazio sulle merci
           (non solo tessili) in uscita ed entrata, operò uno sgravio sul frumento e sul vino, concesse
           la fiera, riconsegnò alla città il governo dei Luoghi Pii, incaricò il Consiglio di governo di
           stendere un «piano di disciplina» per il setificio comasco, espresse la propria «intenzione»
           di proteggere il lanificio comasco, e certo non ultimo, condonò (in settembre) il debito di
           ventimila lire contratto dalla città nei confronti della regia Camera nel 1787. Una copia
           del decreto in Asco, Asc, Carte Sciolte, c. 2, fasc. 34, Asco, Provvidenze particolari, B,
           par. XLVII. A. Mita Ferraro, Economia cit., pp. 125-127.
              55  C.A. Vianello, Lo sviluppo dell’industria serica cit., D. Severin, L’industria serica
           comacina durante il dominio austriaco (1737-1859), Centro Lariano per gli Studi Econo-
           mici, Como, 1960, pp. 55-56.



           Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017    n.41
           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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