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Il tumulto dei tessitori a Como nel 1790 649
Pellegrini, preoccupato principalmente dalla possibile migrazione di
maestranze specializzate, cercò con ogni mezzo di richiamare dalla
macchia i tessitori fuggiaschi e, in accordo con il Plenipotenziario, assi-
curò il perdono a quanti fossero rientrati in città e avessero consegnato
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le armi . Nel frattempo però le disposizioni del Governo, che prescri-
vevano di verificare le violenze subite dai cittadini, generarono la paura
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di nuovi disordini . Il Funzionario invitò alla prudenza 79 ed era chiara
la sua intenzione: arrestati i tessitori più turbolenti, voleva smantellare
l’apparato poliziesco attivato nei giorni successivi al tumulto, auspi-
cando un più rapido ritorno alla normalità. Dello stesso avviso furono
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anche le autorità milanesi . Il 2 agosto, in una lettera al maggiore
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Bossi e alla Guardia civica , l’Intendente stabilì alcune regole nella
speranza di acquietare gli animi e di liquidare, al più presto, la guardia
77 Pellegrini informò anche il Plenipotenziario che 30 luglio sarebbero stati inviati a
Milano i detenuti «sotto alloggio d’oggi in numero di quindici intantoché si arresteranno
gli altri, non desiderandosi però di estendere a tant’altre l’arresto». Rispettivamente: Pro-
tocolli, n. 15, 29 luglio; n. 21, 30 luglio; n. 22, 30 luglio. Nonostante le rassicurazioni
alla popolazione l’Intendete continuò a temere possibili attruppamenti, lo prova il decreto
pubblicato il 5 dicembre nel quale ingiunse ai tessitori di «non unirsi né di giorno né di
notte in numero maggiore di tre sotto la pena dell’immediata carcerazione». Il 5 agosto
il Consiglio di governo non risparmiò a Pellegrini un rimprovero per la frettolosità con la
quale aveva proceduto all’arresto di 10 tessitori; ivi, n. 70 (in riferimento a una decisione
presa il 17 agosto), 18, 20 luglio e n. 39.
78 Se non vi erano difficoltà per le indagini, risultava invece difficile, quanto inoppor-
tuno – così si espressero unanimemente l’Intendente, il Pretore e Bossi – arrestare quanti
vi avevano partecipato, ciò, infatti, avrebbe significato «prendere una grande popolazione
in questo Paese» con il rischio di nuovi disordini. Inoltre, come venne fatto notare, le car-
ceri cittadine non sarebbero stati sufficienti. Ivi, n. 19.
79 Sebbene la severità fosse auspicabile, era bene a suo avviso contenerla nei «limiti,
che non arrechino la desolazione delle famiglie per le emigrazioni e che portino dei pericoli
di avere sulle strade tanti disperati aggressori». Vietò al Maggiore di compiere ronde e
perquisizioni notturne e ingiunse di comunicargli immediatamente l’arresto di persona
non inclusa nelle liste già redatte. Con una lettera al Capitano di giustizia in cui lo rin-
graziava per il suo operato, chiese di ritirare il Bargello (i detenuti arrivarono a Milano la
sera del primo agosto). Ivi, n. 19 e n. 31, 2 agosto con notizia riferita al giorno precedente.
80 Il Podestà del Tribunale d’appello, il 30 luglio, aveva fornito puntuali disposizioni:
stabilendo di non procedere verso tutti quelli che avevano partecipato al tumulto, ma
limitarsi «solo contro i principali capi, stando ferma la promessa del perdono fatta dal
maggiore conte Bossi a quelli che si sono costituiti, perdono da accordarsi anche agli
altri, che si presenteranno successivamente ravveduti, purché non sieno de’ capi». Espri-
meva inoltre la piena soddisfazione del contegno del corpo civico, e si chiedeva di com-
pilare un elenco con i nomi dei cittadini «che si siano distinti per la difesa e quiete della
città». Ivi, n. 25, 30 luglio.
81 Come risulta dalla relazione di Beccaria del 17 settembre, le «due porte Sala e
Castello e il Porto del lago erano custodite da un corpo di guardia militare» mentre Porta
Torre, l’accesso principale alla città murata, era custodita dal «Corpo civico composto
sempre da 12 cittadini e anche nobili armati comandati da un cavaliere come capitano».
C. Beccaria, Opere cit., XII, p. 532.
n.41 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)