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Il mestiere dell’oste tra migrazione e radicamento               663


                    scenze famigliari dovette giocare un ruolo fondamentale nel diffondere
                    a macchia d’olio la presenza degli uomini dell’alto verbano tra i gestori
                    di osterie e bettole. Il rapporto fiduciario consolidato da una comune
                    origine, la possibilità concreta di iniziare una proficua collaborazione
                    tra le parti – utile sia a chi si trovasse nella condizione di voler avviare
                    una nuova attività, sia a chi invece vedeva in questa collaborazione la
                    possibilità di assicurarsi clienti fedeli – e non ultima la opportunità di
                    far valere come garanzia dei prestiti o degli accordi i minuscoli appezza-
                    menti di terra abbarbicati sulle coste a strapiombo sul lago, che non
                    sarebbero stati considerati minimamente appetibili da chi non prove-
                    nisse da quello specifico contesto, sono alcune delle ragioni che possono
                    spiegare la forte specializzazione merceologica assunta da un numeroso
                    gruppo di migranti verbani in città.
                       Alcuni  esempi  possono  essere  utili  per  mettere  ulteriormente  a
                    fuoco la questione. Quando nel gennaio del 1776 Pietro Perelli di Pre-
                    meno, detto Minetto, rilevò da Silvestro Bossi «un negozio di vino po-
                    sto in una cantina situata nella Parrocchia di San Calimero» a Milano
                    con relativi vasellami, mobili e crediti, per far fronte all’esborso di
                    2000 lire chiese aiuto a Gaetano Taccioli, mercante di vino e conter-
                    raneo. A garanzia dell’accordo venne chiamato in causa il padre di
                    Pietro, Stefano, proprietario con ogni probabilità di qualche bene sta-
                    bile nei luoghi d’origine .
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                       L’avventura commerciale di Minetto poté così prendere avvio e do-
                    vette rivelarsi fortunata considerato che a distanza di soli 4 anni i
                    Perelli furono in grado di liquidare il debito ; dal canto suo Gaetano
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                    Taccioli si garantì non solo gli interessi sul capitale prestato, ma an-
                    che la gestione indiretta dell’osteria, essendogli espressamente con-
                    sentito di controllare ogni settimana i libri contabili del negozio e,
                    soprattutto, di somministrare il vino che sarebbe stato necessario a
                    esercitare l’attività di oste . D’altra parte lo stesso Gaetano aveva già
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                    sperimentato  con  successo  un’analoga  operazione  quindici  anni
                    prima, allorché si era dichiarato fideiussore di Natale Marsano e Giu-
                    seppe Cerina per il pagamento dell’affitto di «un’hosteria et hospitii»
                    in contrada Pantano ; simile procedura venne replicata in seguito a
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                       56  Asmi, fondo notarile, cart. 44860, Francesco De Castillia, 9 gennaio 1776.
                       57  Ivi, cart. 47667, Gaspare Arauco, 9 gennaio 1780, confesso e liberazione.
                       58  Ivi, cart. 44860, Francesco De Castillia, 9 gennaio 1776.
                       59  Ivi, cart.43332, Pietro Francesco Campagnani, 22 luglio 1760, fideiussione. Giu-
                    seppe e Francesco Cerina gestivano tra la fine degli anni sessanta e gli inizi dei settanta
                    le osterie dette di Sant’Ulderico e dell’Angelo. Ibid., cart. 43801, F.B. Righetti, 30 giugno
                    1774, confessio.


                                               Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Dicembre 2020
                                                           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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