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Il Tribunale della Regia Monarchia di Sicilia nel XVII secolo 699
struzione di un edificio caratterizzato dalla absoluta potestas del re
nella giurisdizione ecclesiastica, avevano giocato un ruolo importante
la memoria e la rappresentazione della funzione legaziale concessa a
Ruggero I da papa Urbano II nel 1098 ed esercitata a titolo onorifico
dai sovrani svevi e angioini .
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Nel 1446, era stato regolamentato poi l’istituto del gravame, il più
concreto dei canali attraverso i quali la giurisdizione regia, avocando
i processi su richiesta di una delle parti, penetrava nelle altre, so-
prattutto quella ecclesiastica, fino quasi a svuotarle. Si trattava di
un atto importante perché, negli ultimi decenni del XV secolo, il ri-
corso via gravaminis divenne più frequente, «con la conseguenza di
limitare considerevolmente la giurisdizione ordinaria dei tribunali ec-
clesiastici» . Proprio l’utilizzo del gravame rendeva difficili e spesso
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conflittuali i rapporti tra tribunali regi e corti ecclesiastiche, in un
complicato gioco di giurisdizioni .
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La fase più rilevante di questo coerente percorso d’azione di Fer-
dinando il Cattolico coincise con l’attività di Giovanni Luca Barberi
che, tra gli ultimi anni del XV secolo e i primi del XVI, effettuò una
ricognizione su tutti i beni di pertinenza della Corona . Il Barberi so-
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stenne la continuità e l’antichità di una giurisdizione ecclesiastica
esercitata iure legationis – ai legati era attribuita tradizionalmente
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la funzione «di provvedere in loco, su specifica commissione ricevuta
dalla Santa Sede, alla definizione delle cause devolute a Roma per
via appellationis» – che faceva risalire alla già citata bolla Quia pro-
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pter prudentiam tuam, concessa da Urbano II a Ruggero I, per limi-
tare le sue ingerenze nella giurisdizione ecclesiastica senza discono-
scere il ruolo «che il sistema politico-istituzionale normanno comun-
que gli attribuiva per consuetudine» .
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6 G. Catalano, Studi sulla legazia apostolica di Sicilia, Edizioni parallelo 38, Reggio
Calabria, 1973, pp. 40-41.
7 «Il gravame doveva essere motivato da giusta causa e questa doveva essere
espressa in forma rigorosamente scritta, ossia illustrata in un libello o memoriale, da
presentarsi obbligatoriamente al giudice a quo che, preso atto della sospensione del
proprio potere giurisdizionale quanto alla causa specifica, avrebbe inviato lettere dimisso-
rie al giudice ad quem che di quel potere veniva così investito. Questi rilasciava lettere di
salvaguardia al ricorrente, ponendolo così sotto la regia protezione, ad evitargli ritorsioni
e molestie da parte del giudice a quo, una prassi che elevava l’istituto a paradigma dell’in-
gerenza monarchica nella giurisdizione feudale ed ecclesiastica» (Ivi, pp. 88-93).
8 Ivi, pp. 86-87.
9 Ivi, pp. 93-104; cfr. anche G. Zito, La Legazia apostolica nel Cinquecento: l’avvio
delle controversie e delle polemiche cit., pp. 124-126.
10 M.T. Napoli, La Regia Monarchia di Sicilia. «Ponere falcem in alienam messem»
cit., pp. 93-104; cfr. anche G. Zito, La Legazia apostolica nel Cinquecento: l’avvio
delle controversie e delle polemiche cit., pp. 115-126.
11 G. Catalano, Studi sulla legazia apostolica di Sicilia cit., p. 27.
12 M.T. Napoli, La Regia Monarchia di Sicilia. «Ponere falcem in alienam messem» cit.,
pp. 105-130. Catalano sostiene invece che la legazia era stata concessa in quanto
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Dicembre 2020
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)