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                zione di lungo corso» . Casoni ricordava, però, come nonostante i
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                tanti evidenti benefici non si fosse ancora «pervenuto a convincere, a
                persuadere i pratici naviganti, gli uomini di mare, coloro che sogliono
                frequentare queste nostre spiagge, della proprietà e dell’efficacia de’
                provvedimenti e dei grandi lavori operati» . All’interno degli equilibri
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                veneziani questo non era visto come un fatto di poco conto perché,
                anzi, il «voto di costoro vale più assai di quello che si pensa, e molto
                influisce a propagare ne’ loro compagni la incertezza e la diffidenza,
                e va ad estendersi fino a toccare i progetti e le ardite e generose spe-
                culazioni  de’  commercianti» .  Il  ceto  mercantile,  infine,  era  il  più
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                coinvolto nei progetti per ridisegnare Venezia, sia su un piano istitu-
                zionale,  collaborando  col  governo  di  Vienna  alla  stesura  dei  nuovi
                statuti di porto franco con emissari appositamente inviati nella capi-
                tale tra il 1828 e il 1830 , sia a livello strutturale con il sostegno
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                finanziario e progettuale alla realizzazione delle opere di Malamocco
                e di un nuovo faro . Il dibattito aveva certamente un carattere mar-
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                catamente locale, perché al centro continuavano a restare la laguna,
                il suo rinnovamento e/o la sua preservazione; eppure, fin da subito
                la discussione assunse anche una dimensione più ampia ben testi-
                moniata dalla raccolta di informazioni sui porti franchi nel mondo
                avviata  dalla  Camera  di  Commercio  nel  1814  e  proseguita  fin  al
                1870 .
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                   Centrale nei dibattiti circa il futuro della laguna e del porto e nella
                definizione dell’immagine stessa di Venezia nell’Ottocento era il con-
                fronto con Trieste . Si ricordava come il porto franco asburgico fosse
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                stato in grado di attrarre mercanti «non solo dalla Germania, dalla
                Grecia, dall'Italia, dalla Svizzera, dal Tirolo, ma anche da luoghi più
                remoti, e perfin dall'Egitto»; come il commercio si svolgesse non solo


                   29  G. Casoni, Sul porto di Malamocco cit., p. 388.
                   30  Ivi, p. 375.
                   31  Ivi, p. 376.
                   32  Asve, Archivio della Camera di Commercio, b. 59, t. 1, n. 10; b. 68, t. 1, nn. 10 e
                28; b. 81, t. 1, nn. 10 e 11.
                   33  Ivi, b. 89, t. 2, n. 35; b. 103, t. 6, n. 14.
                   34   I  porti  franchi  censiti  sono:  Ancona,  Odessa,  Kerch,  Genova,  Marsiglia,  Corfù,
                Cadice, Lisbona, Porto Braila, Livorno, Saint Thomas, Trieste, Anversa, Ostenda, Brin-
                disi, Algeri.
                   35  Trieste viene presentata come caso positivo e di successo anche in contesti al di
                fuori dell’area italiana quali i dibattiti per la istituzione di porti franchi a Cadice e Mar-
                siglia, per cui cfr. M. M. Gutiérrez, Nuevas consideraciones sobre libertad absoluta de
                comercio y puertos francos o impugnación de la Memoria del señor don Pío Pita Pizarro,
                Imprenta de la viuda de M. Calero, Madrid,1839; Question des entrepôts et ports francs,
                contenant onze lettres publiées dans le Journal Le Commerce de Dunkerque et du Nord,
                par M. Battur, Paris – Dunkerque, 1845.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Dicembre 2020
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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