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Ricordi di un ex Normalista                                      759


                    coi normalisti per passatempo. Poiché egli voleva che ognuno, alla
                    cultura della mente, accoppiasse la vigoria e l’elasticità del corpo.
                       Fu il buon Pippo (così lo chiamavamo familiarmente) che, richiesto
                    da una nobile famiglia pisana di un latinista, indicò me, perché sa-
                    peva che avevo bisogno di quattrini più degli altri. Io assolsi il mio
                    compito di ripetitore con molto scrupolo, ricevendo la mercede (au-
                    dite, cives!) di tre lire a lezione. Meglio non mi poteva capitare; ero
                    invidiato perciò dai miei compagni, che non avevano quella risorsa.
                    In poco tempo mutai vita; oltre a provvedermi di un cappello a larghe
                    falde,  di  un  tabarro  nero  e  di  un’elegante  mazza,  (allora  erano  di
                    moda) comprai una bellissima pipa di radica, del buon tabacco turco,
                    e vari libri che mi occorrevano pei miei studi.
                       Non potrò mai dimenticare la vita ridanciana, chiassosa e di bo-
                    hémien passata alla Scuola Normale fra studii, simposi e birichinate
                    di  ogni  genere.  Nel  raccoglimento  delle  nostre  camerette,  con  un
                    mantello sulle spalle e una coperta sulle gambe, uno scaldino di ter-
                    racotta fra le mani e un pipone in bocca, d’inverno, si passavano ore
                    deliziose  a  leggere  le  Odi  di  Orazio  e  i  Dialoghi  di  Platone  e,  nelle
                    numerose  compagnie  di  amici  al  caffè  dell’Ussero  o  dell’Arno,  non
                    sentivamo più il bisogno delle nostre famiglie e di rivedere il paese
                    natio.  Quanti  entusiasmi  ed  aspirazioni  salivano  su  dalle  nostre
                    anime, nei continui e clamorosi conversari, che talvolta finivano in
                    discussioni intemperanti, in vere baruffe, coronate da cazzottate e
                    sberle!
                       Non posso tacere le quistioni interminabili cagionate dai lumini a
                    olio.  Avevamo,  per  studiare,  delle  caratteristiche  lampade  d’ottone
                    (ne conservo ancora una, per ricordo, nello studio) con relativo tubo
                    di vetro per difendere e avvivare la fiammella. Ma, col tempo, i tubi,
                    specialmente se la calza, inzuppata d’olio, era tenuta molto alta, s’in-
                    crinavano  e  poi  si  rompevano.  Allora  toccava  a  noi  comperarli.
                    Ognuno però, prima che si arrivasse a questo, cercava, senza farsene
                    accorgere, di rubare il tubo di un altro compagno, cavandolo fuori
                    dal tavolo dove i lumini stavano depositati, durante la giornata, per-
                    ché fossero puliti e ben provvisti di alimenti dai camerieri addetti a
                    questo servizio.
                       Quando un disgraziato si accorgeva che del suo lumino (ciascuno
                    era numerato) era stato cambiato il tubo, faceva di lutto per rintrac-
                    ciarlo, entrando magari di sorpresa nella stanza del compagno di cui
                    sospettava. Ma nessuno voleva ammettere il reato, quindi tumultuosi
                    diverbi  e  lotte  furibonde che si svolgevano nelle rispettive camere,
                    senza che il Vice-Direttore e gli inservienti intervenissero per dividere
                    i contendenti. Erano affari privati! Nei periodi di vacanze, natalizie o
                    pasquali, erano frequenti, a notte fonda, le battaglie nei corridoi con




                                               Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Dicembre 2020
                                                           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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