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762 Michele Lupo Gentile
tissimi. Pippo, che purtroppo ci lasciò nel febbraio 1915, è assente
da questi raduni: ma egli rimane sempre come simbolo della scuola
che amò con tutto 1’ardore dell’animo.
Il pensiero più assillante, durante il periodo quadriennale degli
studi letterari o scientifici (perché entrano nella Scuola, per con-
corso, anche matematici o fisici), è la tesi di laurea. Data la gloriosa
tradizione, si suole preparare una tesi che porti un contributo note-
vole e che sia degna di essere pubblicata negli Annali della Scuola
Normale. Per un normalista è indecoroso presentare un lavoro di
compilazione, che riassuma, anche se in buona veste italiana, i ri-
sultati delle ricerche di altri studiosi.
La mia prima idea, dopo che l’archivista Clemente Lupi, gelosissimo
delle carte dell’Archivio, come se fossero di sua proprietà, mi impedì
di fare ricerche sul Trecento pisano, in continuazione del lavoro magi-
strale del Volpe sulle Istituzioni comunali a Pisa, col pretesto che lui
aveva raccolto molto materiale sul riguardo, fu di lavorare sulle fonti
della Storia fiorentina di Bernardo Segni. Il prof. Crivellucci, che giu-
stamente non assegnava temi, volendo che gli alunni, secondo la loro
cultura, li scegliessero da sé, disse che io potevo su quel campo mie-
tere buona messe. Iniziai allora le ricerche negli Archivi fiorentini,
l’orizzonte di queste di mano in mano si allargò, e cosi presentai, nel
luglio del 1904, come tesi, un lavoro di largo respiro Sulla storiografia
fiorentina alla Corte di Cosimo de’ Medici, che fu ben giudicata dal
Volpe (che sostituiva in quell’anno il mio maestro Crivellucci, recatosi
a Mosca per l’edizione critica della Historia Longobardorum di Paolo
Diacono) e pubblicato poi negli Annali della Scuola Normale, perché
ritenuta dai relatori degna di stampa.
Proclamato solennemente dottore in lettere dal Preside della Fa-
coltà, fui complimentato dai professori e applaudito per la discussione
brillante, durante la quale mi difesi a viso aperto contro gli appunti
fattimi da un relatore. Quindi baci, abbracci, anche da parte di com-
pagne. Mi sentii transumanato, come Dante quando salì nel cielo della
luna; fui trascinato fuori dall’Aula Magna, quasi ebbro di gioia, con
tutte le falde svolazzanti e l’abito nero, preso a prestito dal grande At-
tilio, portinaio dell’Università, secondo il rito, i solinoni sgargianti e il
tubino, allora di moda, al caffè dell’Arno; e quivi pelato ben bene e
spogliato del tutto di quei pochi quattrinelli che mi rimanevano. La
sera, quasi sborniato e ben madido di vermouth e verdea, rincasai.
Ma una grande tristezza aduggiò l’animo mio quando rimasi solo
nella stanza. «Come si svolgerà la mia vita in avvenire? Troverò subito
una cattedra, che mi assicurerà un pane e le soddisfazioni spirituali,
di cui avrò bisogno? Tornerò al paese natio, fra i miei, per vivere a
carico di mio padre?». Mi buttai sul letto e versai amare lacrime!
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Dicembre 2020
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)