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                tissimi. Pippo, che purtroppo ci lasciò nel febbraio 1915, è assente
                da questi raduni: ma egli rimane sempre come simbolo della scuola
                che amò con tutto 1’ardore dell’animo.
                   Il  pensiero  più  assillante,  durante  il  periodo  quadriennale  degli
                studi  letterari  o  scientifici  (perché  entrano  nella  Scuola,  per  con-
                corso, anche matematici o fisici), è la tesi di laurea. Data la gloriosa
                tradizione, si suole preparare una tesi che porti un contributo note-
                vole e che sia degna di essere pubblicata negli Annali della Scuola
                Normale.  Per  un  normalista  è  indecoroso  presentare  un  lavoro  di
                compilazione, che riassuma, anche se in buona veste italiana, i ri-
                sultati delle ricerche di altri studiosi.
                   La mia prima idea, dopo che l’archivista Clemente Lupi, gelosissimo
                delle carte dell’Archivio, come se fossero di sua proprietà, mi impedì
                di fare ricerche sul Trecento pisano, in continuazione del lavoro magi-
                strale del Volpe sulle Istituzioni comunali a Pisa, col pretesto che lui
                aveva raccolto molto materiale sul riguardo, fu di lavorare sulle fonti
                della Storia fiorentina di Bernardo Segni. Il prof. Crivellucci, che giu-
                stamente non assegnava temi, volendo che gli alunni, secondo la loro
                cultura, li scegliessero da sé, disse che io potevo su quel campo mie-
                tere  buona  messe.  Iniziai  allora  le  ricerche  negli  Archivi  fiorentini,
                l’orizzonte di queste di mano in mano si allargò, e cosi presentai, nel
                luglio del 1904, come tesi, un lavoro di largo respiro Sulla storiografia
                fiorentina  alla  Corte  di  Cosimo  de’  Medici,  che  fu  ben  giudicata  dal
                Volpe (che sostituiva in quell’anno il mio maestro Crivellucci, recatosi
                a Mosca per l’edizione critica della Historia Longobardorum di Paolo
                Diacono) e pubblicato poi negli Annali della Scuola Normale, perché
                ritenuta dai relatori degna di stampa.
                   Proclamato  solennemente  dottore  in  lettere  dal  Preside  della  Fa-
                coltà, fui complimentato dai professori e applaudito per la discussione
                brillante, durante la quale mi difesi a viso aperto contro gli appunti
                fattimi da un relatore. Quindi baci, abbracci, anche da parte di com-
                pagne. Mi sentii transumanato, come Dante quando salì nel cielo della
                luna; fui trascinato fuori dall’Aula Magna, quasi ebbro di gioia, con
                tutte le falde svolazzanti e l’abito nero, preso a prestito dal grande At-
                tilio, portinaio dell’Università, secondo il rito, i solinoni sgargianti e il
                tubino, allora di moda, al caffè dell’Arno; e quivi pelato ben bene e
                spogliato del tutto di quei pochi quattrinelli che mi rimanevano. La
                sera, quasi sborniato e ben madido di vermouth e verdea, rincasai.
                   Ma una grande tristezza aduggiò l’animo mio quando rimasi solo
                nella stanza. «Come si svolgerà la mia vita in avvenire? Troverò subito
                una cattedra, che mi assicurerà un pane e le soddisfazioni spirituali,
                di cui avrò bisogno? Tornerò al paese natio, fra i miei, per vivere a
                carico di mio padre?». Mi buttai sul letto e versai amare lacrime!





                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Dicembre 2020
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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