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                giornalismo, col pseudonimo di magister flavus si distingueva, fra gli
                altri, per il suo barbone lungo e rossiccio, di quasi mosaica rispetta-
                bilità, e una grande zazzera. Mannucci, per la sua figura etrusca, la
                pappagorgia, gli occhi spiritati ed assai mobili, e il tic nervoso, Pel-
                lizzari, per la sua statura mingherlina, per non dire nana, le labbra
                argute, le ganasce incastrate in un solino che gli recideva quasi gli
                orecchi, il sorriso canzonatorio ed i suoi inesauribili motti di ‘spirito;
                io, per l’aria sbarazzina e donchisciottesca e la voce baritonale, che
                si sentiva quasi a un miglio di distanza. Passavamo la mattinata a
                scuola sino alle dodici ad impartire, coll’entusiasmo dell’età giova-
                nile, il nostro insegnamento a scolari che studiavano con passione.
                Dopo i pasti, metodicamente, ci riunivamo al Caffè Castagnini per
                fare il chilo, e giocavamo lo scopone scientifico per circa due orette.
                Per quanto si cercasse di contenere i nostri bollenti spiriti, per non
                destare  scandalo,  dato  l’officio  delicato  di  educatori,  che  esercita-
                vamo, alle volte, per una sciocchezza da nulla, si emettevano fischi,
                urlacci da assordire, e si facevano sghignazzate indecorose contro gli
                avversari sconfitti; insomma si faceva un casa del diavolo. In certi
                momenti alla gente, che si trovava a passare davanti al Caffè, sem-
                brava che noi ci litigassimo e ci lanciassimo delle invettive. Ma la sera
                si studiava sul serio, sia per preparare la lezione del domani, sia per
                continuare i nostri studi interrotti e procurarci qualche altro titolo
                scientifico, che ci potesse giovare nella carriera scolastica.
                    Ci furono di grande aiuto la Biblioteca del Comune e le biblioteche
                private, ricche di libri rari lunigianesi, di Raimondo Lari e del sig.
                Bordigoni, mecenati e gentiluomini di antico stampo. Preziosa fu per
                me  e  Pellizzari  la  conoscenza  del  Dott.  Biso,  medico  primario
                dell’ospedale. Egli nutrì una grande simpatia per noi; e, siccome era
                uno scapolone impenitente, ci voleva tutti i giorni a desinare, perché
                non  voleva  mangiar  solo,  a  litigare  magari  con  la  domestica.  Per
                mezzo di un elegante calessino, guidato abilmente da lui, ci fece co-
                noscere quasi tutta la Lunigiana: egli era conosciutissimo in tutti i
                paesi attorno a Sarzana, e, quando era costretto ad andarvi, per visite
                mediche,  noi  figuravamo  come  assistenti,  anche  se  non  eravamo
                buoni a tenere in mano fasce e pinze.
                   Nel 1906 la Società sarzanese pro Cultura prese l’iniziativa di ce-
                lebrare il sesto centenario della venuta di Dante in Lunigiana, come
                procuratore dei Marchesi di Malaspina. Si formò allora un Comitato,
                di cui io e Pellizzari fummo chiamati a far parte; questo Comitato, a
                sua volta, nominò un gruppo di uomini egregi con a capo Giovanni
                Sforza,  illustratore  insigne  della  storia  e  dell’arte  lunigianese,  per
                condurre a compimento le feste e il programma concertato. Questo
                programma  venne  elaborato  ed  attuato  con  alacrità  e  nobiltà  di





                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Dicembre 2020
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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