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760 Michele Lupo Gentile
brocche piene d’acqua, che ci rovesciavamo addosso con grande sod-
disfazione. L’abilità consisteva nel buttare l’acqua sulla testa del
compagno, mantenendo asciutta la propria: quindi occorrevano
mosse strategiche, e molta agilità nel lancio, per non provocare rot-
tura di vasi. Pippo, che dormiva sodo in una camera molto appartata
del Palazzo, non sentiva nulla; solo avvertiva nella mattina un odore
strano di muffa nei corridoi, e se la prendeva coi camerieri che non
avevano spazzato e lavato bene.
Un bel giorno, siccome alcuni studenti universitari ritenevano (e
ritengono anche oggi) che i normalisti erano sgobboni, e spesso veni-
vano a urlare a tarda ora delle canzonacce in Piazza dei Cavalieri
contro di noi, io, Castiglioni e Pellizzari stabilimmo di vendicarci; e,
procuratici una siringa, grossa come una bombarda, nascosti dietro
le persiane di una finestra del 3° piano, ci mettemmo a lanciare dei
lunghi e poderosi getti di acqua a tutti coloro, studenti o civili, che
sbucavamo fuori dalle stradette che immettevano nella piazza. Il
colpo riuscì magnificamente. Ma, in seguito a ricorso presentato al
Direttore, si dovette smettere per evitare guai. Nessuno seppe degli
organizzatori!
Uno dei divertimenti preferiti, specialmente quando ci pareva di
aver mangiato male, era di recarci, in gruppi numerosi, in Piazza dei
Miracoli, proprio vicino alla porta d’ingresso del Duomo. Rivolti con
le spalle al tempio e la faccia al Battistero, alcuni si mettevano a
urlare: «come si sta alla Normale?». L’eco, che era molto chiara e assai
sonora, specialmente nel silenzio della notte, rispondeva: «male,
male». Quindi tutti a ridere e a compiacersi che anche i gloriosi mo-
numenti sapevano del nostro vitto e della nostra vita grama.
Veramente il vitto era buono, e la vita non affatto grama ma gli
studenti, che stanno in collegio, o in istituiti di educazione, gratuita-
mente, anche se vincitori di concorsi, hanno spesso la cattiva abitu-
dine di dir male della cibaria, anche se questa sia assai succulenta e
deliziosa. Castiglioni non poteva tollerare le scaloppine al marsala;
io, i fagiolini di S. Anna coll’occhio, lessati; Pellizzari, il brodo colle
patatine. Vidi una volta entrare nel magazzino, a pian terreno, della
Scuola un barroccio, carico zeppo di fagiolini secchi. Apriti cielo! Misi
in subbuglio i compagni, che ne rimasero desolati. In quel giorno,
saturo di elettricità, non appena Pippo (che mangiava quasi sempre
con noi) si alzò da tavola per recarsi nella sua stanza, io, credendo
che lui non potesse sentirmi, scattai e dissi con aria donchisciotte-
sca: «quando la faranno finita coi fagiolini e col sughetto, che sa di
p… colle scaloppine e coi brodini palatosi?». Pippo intese, e, pochi
minuti dopo, fummo chiamati ad rendendam rationem io, Pellizzari e
Castiglione. «Vi fotto fuori, se non la fate finita, ribaldi e vagabondi
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Dicembre 2020
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)