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768 Michele Lupo Gentile
Dopo due anni di dimora, ci eravamo molto affezionati a Sarzana
e, circondati da tante cortesie e dimostrazioni di affetto, ci sembrava
di respirare un’aria di famiglia. La cittadina, benché piccola, aveva
case e strade comode e pulite e vari palazzi antichi, come quelli dei
conti Picedi, dei marchesi Magni-Griffi e dei Signori Podestà, negozi
provvisti di tutto, numerosi ed eleganti Caffè, Circoli di cultura, e
soprattutto aveva dintorni magnifici, che offrivano modo a noi di
fare lunghe e belle passeggiate. Essendo il centro geografico, eco-
nomico, religioso (una volta anche politico e militare) della Luni-
giana, era sempre animata, specialmente le domeniche, per l’af-
flusso di contadini, che venivano dai borghi circonvicini a fare delle
provviste o vendere delle merci. Ma, nonostante che la città ci of-
frisse ogni conforto e ci desse modo di continuare i nostri studi, non
eravamo del tutto contenti; un limbo talvolta aduggiava l’animo no-
stro, perché lontani dalle famiglie, senza una madre o una sorella
accanto, che potesse allietare la nostra solitudine, specialmente
quando tornavamo a casa. L’uomo, ch’è costretto a vivere fuor del
paese natio, ricorda sempre la prima età ed è, come ben dice il Giu-
sti, «come un albero svelto che lascia nel terreno molta parte delle
sue radici».
Si cominciò a sentire il bisogno di una compagna, a cui si potesse
confidare le nostre idee, i nostri propositi, che ci animasse nel lavoro
quotidiano, che ci consigliasse, che lenisse i nostri crucci e secon-
dasse le nostre aspirazioni. In breve, io e il Pelide Achille, pensammo
ad accasarci; io mi misi a fare la corte a una signorina di nobile ca-
sato, che mi piaceva molto, lui a una bellissima giovinetta, di famiglia
borghese, alta e robusta, e dal profilo tizianesco, con cui aveva bal-
lato varie volte al Circolo degli Impiegati durante le feste carnevale-
sche. Avendo confidato le mie pene amorose al Dott. Biso, questi ne
fu contento, e mi fece conoscere senz’altro la signorina, accompa-
gnandomi lui stesso, ch’era medico di famiglia nella villa di Morano
presso Falcinello. Sulle prime stetti, tremando, muto, mi impappinai
un po’; ma poi mi feci animo, e manifestai i miei sentimenti nel modo
più esplicito. Mi fidanzai, poco dopo, ufficialmente.
Pellizzari, invece, pur riuscendo simpatico alla signorina (egli era
invero molto affascinante nella conversazione), non riuscì a convin-
cere i genitori di lei, a concedergliela in isposa. Non so perché; i ge-
nitori, assai religiosi, avevano saputo forse che il padre, preside in
un Liceo classico, era frammassone. L’amico se ne accorò molto; ed
io che gli volevo bene, come a un fratello, ne soffrivo. Fui così inge-
nuo, vedendolo un giorno afflitto e disperato, che temetti non volesse
togliersi la vita. Allora, da siciliano puro sangue, suggerii l’idea ge-
niale della fuga (la foiuta). Lui, sulle prime, mi domandò se io non
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Dicembre 2020
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)