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                delle entrate doganali di quell’anno. In entrambi i casi si tratta di
                quote apprezzabili.
                   Una seconda possibilità di quantificare, in modo più diretto e pre-
                ciso, il “peso” della loro operatività e, specialmente, di quella dei posi-
                tanesi, è data ancora dalla documentazione doganale. Se, infatti, dai
                responsali  della  Secrezia  utilizzati  per  comporre  il  grafico  di  Fig.  2,
                sulla  distribuzione  per  tipologia  delle  6.449  operazioni  censite,
                traiamo anche la provenienza geografica degli intestatari delle mede-
                sime, si visualizza ‒ nonostante le lacune archivistiche di 5 anni su 11
                ‒ lʼincidenza delle attività dei «napolitani» nel loro insieme e dei soli
                positanesi.
                   Nel 1795-1796 il 33,5% di ogni genere di operazione doganale era
                riconducibile ai «napolitani» e, segnatamente, ai positanesi (26,4%). La
                forte riduzione che si registra, da fine anni Novanta al 1802, si spiega
                non  solo  con  la  dispersione  dei  documenti,  ma  anche  come  conse-
                guenza dallʼevolversi della situazione politico-militare (arrivo dei fran-
                cesi nel regno di Napoli e trasferimento della corte napoletana a Pa-
                lermo). Nell’ultimo anno preso in esame, i valori percentuali risultano
                più che dimezzati, ma il 13,8% di «napolitani» è costituito soprattutto
                da positanesi (12,3%).
                   Lʼintervallo considerato, infatti, coincide con una fase nella quale il
                valore delle merci decresce da oltre 61 mila onze del 1795-1796 (n.i.
                100) a poco più di 34 mila del 1805-1806 (n.i. 56), cui corrispondono
                rispettivamente le percentuali del 33,5 (437 operazioni doganali su un
                totale di 1.306) e del 13,8 (110 su 798), indicative della progressiva
                riduzione della loro operatività rapportata a quella generale (Fig. 4). È
                una rappresentazione del tutto coerente con i rivolgimenti nel com-
                mercio marittimo mediterraneo cui si è già fatto cenno e che, dal 1806,
                vedrà irrompere decine di mercanti-imprenditori e ditte britanniche
                nelle piazze di Messina, di Palermo e nellʼarea trapanese.
                   Se le elaborazioni proposte integrano sul piano quantitativo le
                conoscenze circa la quota delle negoziazioni dei «napolitani», cosa
                aggiungere riguardo a quelle dei mercanti di differente nazione? I
                responsali, pur se ci informano dellʼidentità di tutti gli operatori,
                sulla provenienza e destinazione delle merci (talvolta solo generica:
                infra o fuori Regno), sulla varietà e quantità delle singole partite di
                merci trattate, nulla dicono del loro valore, né degli importi dei dazi
                pagati.  Si  può,  però,  procedere  nel  disegnare  un  reticolo  degli
                scambi  che  copra  un  arco  temporale  più  lungo  di  quello  sin  qui
                tracciato 106   e  a  censire  i  principali gruppi  di mercanti siciliani e



                   106  R. Lentini, British merchants and goods cit., in particolare pp. 488-491, tables 2,
                3 e 4.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Agosto 2021
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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