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428 Luca Lavarino
botti di legno ripiene di vino piemontese per meglio verificare «sino a
qual grado potessero reggere alla navigazione» .
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Le due botti, entrambe sottili, eguali in capacità e fasciate in legno
(con la sola eccezione di due cerchietti in ferro apposti alle teste), con-
tenevano circa 120 litri di vino Barbera puro della raccolta 1834, de-
bitamente chiarificato, solferato e corretto con una piccola aggiunta di
alcol raffinato (4%); le due casse, invece, contenevano 30 bottiglie nere
da un litro caduna, alcune con lo stesso vino presente nelle botti, altre
ripiene di Barbera fabbricato all’uso di Borgogna e altre ancora ricolme
di Nebbiolo della medesima raccolta 1834, ma non chiarificati, né sol-
ferati, né aiutati con l’aggiunta di alcol, tutti naturali e schietti .
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Questi vini erano stati forniti al Lascaris di Ventimiglia dal marchese
Scarampi di Pruney, grande proprietario di vigneti nella provincia di
Asti, che nella sua cantina di Vinchio sin dal 1825 impiegava la mo-
derna macchina per pigiare le uve inventata da Ignazio Lomeni. Inoltre,
sull’ʻEuridiceʼ venne anche imbarcata una certa quantità, diligente-
mente chiusa in bottiglie, del rinomatissimo vino di Caluso, parte
bianco albaluce della raccolta 1832 e parte nero aleatico della raccolta
1831, dell’avvocato Genta . La metà del carico, ovvero una delle botti e
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l’altra delle casse, fu aperta a Rio de Janeiro e trovata in ottimo stato.
Dopo oltre sedici mesi di corso l’altra metà fece invece ritorno in
patria e, nonostante la lunga traversata oceanica, la quarantena, il
deposito nella darsena di Genova e il successivo trasporto a Torino –
con un soggiorno di oltre due mesi nella dogana della capitale che pre-
tendeva i diritti d’importazione – i vini furono assaggiati e trovati
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8 Gazzetta Piemontese del 6 luglio 1838 (n. 152), rubrica Enologia Nazionale. «Giunta
che sia la fregata a qualcuno dei più lontani punti dell’America Meridionale e più con-
venienti per questa sorta di commercio, il Sig. Comandante è pregato di assaggiare il
vino e di farlo assaggiare ad altri, sia sul legno, sia a terra, onde riconoscere la buona o
la mala conservazione». Ast, Ipvms, mazzo 1, Torino, 30 giugno 1836 e 6 luglio 1836.
9 La chiarifica con l’albume, preferibile per i vini rossi, o con la colla di storione,
opportuna invece per i vini bianchi, era praticata per depurare il liquido dalle sostanze
fecciose, mentre la successiva tecnica della solforazione era utilizzata per distruggere
tutto il lievito e fermare così il processo di fermentazione; inoltre, per aumentare la gra-
dazione alcolica dei vini venivano talvolta impiegati anche dei corpi zuccherosi (zucchero
di canna, di barbabietola e d’uva), una pratica universalmente nota come ʻchaptalisa-
tionʼ. Secondo il generale Staglieno, se svolte correttamente, queste operazioni avreb-
bero permesso ai vini subalpini di reggere al meglio le traversate oceaniche, giungere
nel Nuovo Mondo ed essere ivi apprezzati come gli altri vini europei. P. F. Staglieno,
Istruzione intorno al miglior modo di fare e conservare i vini in Piemonte, Giuseppe Pomba
e C., Torino, 1837, pp. 50-72.
10 Gazzetta Piemontese dell’11 luglio 1838 (n. 156), rubrica Enologia Nazionale – Vini
di Caluso.
11 L’impasse fu sbloccata soltanto grazie all’intervento di Carlo Alberto, che favorì lo
sdoganamento del 14 marzo 1838. I. Lomeni, Sulla macchina per la pigiatura delle uve,
in R. Ragazzoni (a cura di), Repertorio d’agricoltura e di scienze economiche ed industriali,
vol. XV, Tip. Teresa Rachetti, Varallo, 1842, p. 374.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Agosto 2021
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)