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                   Oltre al problema del trasporto e del sapore, c’era poi quello del
                prezzo: ogni litro di vino del Regno di Sardegna veniva a costare 80
                centesimi alla dogana brasiliana, mentre quelli di Francia, Spagna,
                Sicilia e Portogallo (tra l’altro molto più richiesti) soltanto 40-50 cen-
                tesimi. In mancanza di un trattato commerciale tra Torino e Rio de
                Janeiro e senza una ditta sabauda disposta a investire subito ingenti
                quantità di denaro, i vini dei Regi Stati non sarebbero mai riusciti a
                trovare sbocco nell’Impero, e lo stesso console Alloat giunse alla con-
                clusione  che  bisognava  definitivamente  abbandonare  il  progetto  di
                esportare il vino in questa parte del Nuovo Mondo .
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                   Negli anni successivi, infatti, non furono più tentati ulteriori espe-
                rimenti vinicoli nell’ex colonia portoghese. Le spedizioni sabaude in
                Brasile si limitarono sostanzialmente a piccole partite di paccottiglia,
                perlopiù vino bianco della Polcevera destinato ai genovesi di Rio de
                Janeiro , con il Regno di Sardegna che, in una competizione commer-
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                ciale tutta italiana, nell’export atlantico dei vini nazionali fu presto sor-
                passato dal Regno delle Due Sicilie .
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                All’inseguimento del sogno americano

                   Grande pioniere e promotore del vino piemontese negli Stati Uniti
                d’America fu il console generale di Philadelphia Gaspare Deabbate, il
                primo agente diplomatico sabaudo a sondare le opportunità commer-
                ciali offerte dal ricco mercato nordamericano .
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                   Secondo  i  calcoli  del  console  Deabbate,  l’importazione  annua  di
                vino negli Stati Uniti ascendeva a circa 30.000.000 di galloni, ovvero
                150.000.000 di bottiglie; un terzo del totale veniva riesportato in Ame-
                rica  Meridionale,  mentre  il  rimanente  era  assorbito  all’interno  del
                paese, principalmente dagli stati del centro sull’Atlantico e del Pro-
                fondo Sud. I vini fini di Bordeaux (Lafitte, Haut-Brion, Latour, Leoville,
                Larose, Montferrand), lo Champagne e lo Xeres erano considerati dagli
                statunitensi come vini di liquore, sì apprezzati ma sorpassati in punto
                di consumazione dal Madera secco; gli stessi vini dolci di Catalogna,


                tuttavia, sostenevano a stento la sola navigazione europea. I. Lomeni, Sulla macchina
                per la pigiatura delle uve cit., p. 377.
                   27  Ast, Cn Rio de Janeiro, mazzo 1, Rio de Janeiro, 14 giugno 1842, n. 72.
                   28  P. di Prasco, Sul commercio dei vini comuni del Piemonte, in R. Ragazzoni (a cura
                di), Repertorio d’agricoltura e di scienze economiche ed industriali, vol. IV, Tip. Speirani
                e Ferrero, Torino, 1846, p. 339.
                   29  G. Coniglio, Il commercio tra il Regno delle Due Sicilie, gli Stati Uniti ed il Brasile nel
                1848-1849, «Rassegna storica del Risorgimento», A. XLIV, f. IV (1957), Istituto Poligrafico
                dello Stato, Roma, pp. 333-340.
                   30  Ast, Cn Filadelfia, mazzo 1, Filadelfia, 1 marzo 1822.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Agosto 2021
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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