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I vini piemontesi nel Nuovo Mondo: le prime spedizioni ottocentesche   429


                    eccellenti, con il rinomato vino di Caluso diventato ancor più prege-
                    vole. Dunque, sulle capacità dei buoni vini piemontesi, sia quelli cor-
                    retti sia quelli scevri da ogni operazione di chiarifica, solforazione e
                    aggiunta di alcol, di reggere alla navigazione atlantica non v’era più
                    alcun dubbio, mentre sulle possibilità di fare affari in Brasile con tale
                    ramo del commercio aleggiava una certa sfiducia.
                       A differenza del precedente saggio del San Marzano, questa volta il
                    vino giunto a Rio de Janeiro fu aperto e fatto degustare ai cittadini
                    brasiliani che, assuefatti ai vini di Spagna e di Portogallo stracarichi
                    di  alcol  (anche  del  20%  e  oltre),  lo  trovarono  però  troppo  leggero  e
                    quindi non abbastanza forte per soddisfare il proprio gusto . Nell’ex
                                                                               12
                    colonia portoghese il buon vino del Piemonte poteva (forse) competere
                    soltanto con quello francese, che da qualche anno stava comunque
                    consolidando la propria posizione in America Meridionale; in partico-
                    lare, il vino bianco di Caluso dell’avvocato Genta si sarebbe potuto
                    piazzare sulla piazza di Rio de Janeiro dietro il vino di Frontignac a 6-
                    7 reis la cassa da 12 bottiglie, ma andava necessariamente modificato
                    con l’aggiunta di una maggiore quantità di spirito. Molto più ardua da
                    sostenere risultava invece la competizione con i famosi vini di Bor-
                    deaux, venduti in Brasile a 20-24 lire la cassa da 12 bottiglie: le spese
                    di trasporto dalle varie cantine dell’interno sino alla spiaggia di navi-
                    gazione, di dogana allo sbarco in America, di commissione, d’avaria e
                    altre  varie  ed  eventuali,  rendevano  di  poca  o  niuna  convenienza  lo
                    smercio vinicolo piemontese d’oltremare .
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                       Inoltre, la bilancia commerciale tra il Regno di Sardegna e l’Impero
                    del Brasile pendeva nettamente a favore di quest’ultima potenza, che
                    ogni  anno  esportava  i  propri  generi  per  un  valore  superiore  a
                    2.500.000 lire, ricevendo in cambio degli articoli del valore comples-
                    sivo di 700.000 lire, di cui soltanto 300.000 rappresentavano il valore
                    delle produzioni del suolo e dell’industria sabauda: la restante parte
                    (400.000 lire) proveniva dalla vendita delle merci estere caricate dalle
                    navi sarde nelle piazze intermedie di Marsiglia, Gibilterra, Cadice, Li-
                    sbona, Oporto e Santa Cruz de Tenerife .
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                       La scarsa competitività dei prodotti alimentari e la bassa qualità di
                    quelli manifatturati costringevano dunque i mercanti liguri a fare scalo
                    nei principali porti francesi, spagnoli e portoghesi per completare il
                    carico da destinare all’Impero, con le vendite derivate da questo com-
                    mercio di trasporto che riuscivano a malapena a garantire il carico dei



                       12  Gazzetta Piemontese del 6 luglio 1838 (n. 152), rubrica Enologia Nazionale.
                       13  I. Lomeni, Sulla macchina per la pigiatura delle uve cit., p. 377.
                       14  Ast, Neg Brasile, mazzo 1, Torino, 18 agosto 1843.


                                                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Agosto 2021
                                                           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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