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                   Se i vini della Fraschetta, che per nessun verso sono il prodotto né di vigne
                vantaggiosamente situate, né di ben assortiti terreni, né di uve particolari, né
                di costose diligenze per la fabbricazione, riuscirono bene in queste contrade,
                possiamo finalmente, appoggiati non a teorie ma a fatti veri, ragionevolmente
                conchiudere che le uve nostrali non hanno que’ vizi a se stesse inerenti che il
                pregiudizio sino ad ora loro suppose, e che nulla osta ai lunghi viaggi dei vini
                nostri 36 .

                   Secondo Gaspare Deabbate, anche i vini frizzanti e spumanti del
                Piemonte, se secchi e non tanto dolci, potevano essere smerciati negli
                States in cassettine da 12 bottiglie cadauna; il vino bianco, in partico-
                lare, avrebbe sicuramente incontrato il gusto dei nordamericani per la
                sua somiglianza con lo Champagne, l’unica qualità di vino ʻmousseuxʼ
                conosciuta nel Nuovo Mondo.
                   Delle  2.000.000  di  brente  prodotte  ogni  anno  nell’Astigiano,  nel
                Monferrato e nel Canavese, sempre secondo i calcoli del console, al-
                meno 500.000 si potevano inviare in America e vendere a 30-35 fran-
                chi per brenta, con un utile previsto del 37-46% per i viticoltori pie-
                montesi  e  con  un’annua  entrata  stimata  in  circa  15.000.000-
                20.000.000 di franchi per le casse del Regno di Sardegna. Per la buona
                riuscita della speculazione, Deabbate consigliava caldamente di imi-
                tare alla perfezione i fusti francesi di Bordeaux, lavandoli con l’acqua-
                vite prima di introdurvi il vino , non intraprendere le spedizioni nella
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                stagione calda, applicare e inchiodare sopra il tappo una piccola lastra
                di latta e stivare bene i barili a bordo della nave, evitando così la temi-
                bile collatura prodotta dal tentennamento e dall’urto in mare. D’altra
                parte, riteneva fondamentale ottenere dal governo di Washington una
                perfetta reciprocità sui diritti differenziali e portuali, e insediare in tutti
                i  più  importanti  scali  della  costa  atlantica  dei  viceconsoli-commer-
                cianti, ovvero dei corrispondenti affidabili in grado di intercettare al
                meglio le tendenze del mercato americano: soltanto in questo modo il
                vino piemontese avrebbe potuto costituire la base delle importazioni
                negli Stati Uniti .
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                   I buoni propositi di Gaspare Deabbate rimasero sostanzialmente
                sulla carta. Nel gennaio del 1825 il console generale di Philadelphia
                affidò a Vincent Bouland, viceconsole presso la sede di New York, tre



                   36  Ivi, mazzo 1, Filadelfia, 1 marzo 1822.
                   37  Mediante tale pratica il vino avrebbe evitato di ricevere dai legni del fusto la loro
                negativa sostanza estrattiva, causa principale dell’alterazione di colore e di sapore. Il
                generale Staglieno consigliava invece di impiegare la calce vergine, al posto dell’acqua-
                vite, per rendere i fusti idonei alla miglior ricezione del vino. P. F. Staglieno, Istruzione
                intorno al miglior modo di fare e conservare i vini in Piemonte cit., p. 11.
                   38  Ast, Cn Filadelfia, mazzo 1, Filadelfia, 1 marzo 1822.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Agosto 2021
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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