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                lire curata dall’avvocato Carenzi, e anche in Messico, con una partita
                di 1.000 brente curata dall’avvocato Cravero, «il cui figlio colà stabilito
                aveva qui trasmesso il più facile ragguaglio intorno al facile esito in
                quei paesi dei suddetti vini pregiati al paro dei migliori esteri del genere
                pasteggiabile» .
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                   Si trattava però di piccole ed estemporanee spedizioni , con il Re-
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                gno di Sardegna che per tutto il periodo carloalbertino non riuscì mai
                a imbastire un vero e proprio export vinicolo organizzato nel Nuovo
                Mondo e anzi, nel caso statunitense, nonostante il trattato di commer-
                cio e di navigazione in vigore, finì col subire passivamente lo strapotere
                mercantile di Washington. Dal 1840 al 1844 il bilancio navale tra le
                due potenze marcò infatti una proporzione media annua di 30 a 4 a
                favore della bandiera statunitense che, inoltre, trasportava general-
                mente un carico medio di 300-500 tonnellate (arrivando anche a 600)
                contro le circa 200-250 tonnellate mediamente scaricate dalla ban-
                diera sarda nei porti nordamericani . Nel periodo 1844-1849, infine,
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                le cose non andarono affatto meglio: su un totale di 446 navi sabaude
                dirette nel Nuovo Mondo, ben 433 attraccarono nei vari porti dell’Ame-
                rica Meridionale, mentre soltanto 13 toccarono una rada degli Stati
                Uniti .
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                Voci dal Rio della Plata

                   I vini del Regno di Sardegna non riuscirono a far breccia neanche
                sulle sponde del Rio della Plata, dove si era concentrato il maggior
                numero dei sudditi emigrati nel Nuovo Mondo.
                   Il  porto  di  Montevideo  riceveva  ogni  anno  dalle  bandiere  estere
                grandi quantità di acquavite e di vino: nel solo anno 1835 (ad esempio)
                furono introdotte nella Banda Orientale ben 2.233 pipe di acquavite e



                   44  G. Monteregale, Sul commercio dei vini comuni del Piemonte, in R. Ragazzoni (a
                cura di), Repertorio d’agricoltura e di scienze economiche ed industriali, vol. IV, Tip. Spei-
                rani e Ferrero, Torino, 1846, pp. 262-263.
                   45  Spedizioni che, ad ogni modo, comprendevano anche il vermouth torinese dei fra-
                telli Giuseppe e Luigi Cora. P. Cirio, M. Devecchi, La nascita dell’industria vinicola e di
                una nuova imprenditoria, in S. Montaldo (a cura di), Il Risorgimento nell’Astigiano nel
                Monferrato e nelle Langhe, Cassa di Risparmio di Asti, Asti, 2010, pp. 135-143; G. Mai-
                nardi, Nascita e sviluppo del vermouth piemontese, in G. Mainardi (a cura di), Il vino
                piemontese  nell’Ottocento.  Atti  dei  Convegni  Storici  OICCE  2002-2003-2004,  Edizioni
                dell’Orso, Alessandria, 2004, pp. 101-112.
                   46  Ast, Lme Stati Uniti, mazzo 1, Torino, 4 aprile 1845.
                   47  E. Lodolini, Rapporti marittimi e commerciali fra Stato pontificio e America latina
                nella prima metà del sec. XIX, «Rassegna storica del Risorgimento», A. LXVI, f. II (1979),
                Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, p. 389.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Agosto 2021
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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