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                   Da  una  lettera  del  conte  Piuma  di  Prasco,  direttore  del  Comizio
                Agrario di Acqui, sappiamo invece con certezza che un bastimento li-
                gure  trasportava  annualmente  a  Montevideo  un’esigua  quantità  di
                vino proveniente dalle campagne vicine a Finale (Riviera di Ponente)
                                                                                  53
                – vino né chiarificato né solforato e neanche sottoposto all’aggiunta di
                alcol, imbarcato come paccottiglia «per gusto di alcuni genovesi colà
                dimoranti»  – e che ebbero luogo anche diverse spedizioni di bottiglie
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                dell’Alto Monferrato (Acqui e Ovada in primis), tutti vini di ottima qua-
                lità, alcolici, limpidi e ben provvisti di fragranza (ʻbouquetʼ), che si av-
                vicinavano molto ai vini del sud della Francia tanto amati dagli uru-
                guaiani .  Tali  spedizioni  furono  confermate  anche  da  Gaetano  Ga-
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                vazzo, console generale di Sua Maestà a Montevideo, che in una nota
                datata 29 aprile 1848 segnalava inoltre come i vini dell’Astigiano e del
                Monferrato, oltre a venir consumati in discrete quantità dai numerosi
                emigrati italiani, iniziavano a essere apprezzati anche dai sudditi uru-
                guaiani.
                   Secondo il console Gavazzo, una volta terminata la Guerra Grande,
                il vino piemontese avrebbe potuto trovare un considerevole smercio
                nella Banda Orientale, ma soltanto a patto che venissero abbattuti i
                costi, le spese di trasporto e impiegati botti o barili atti alla lunga tra-
                versata atlantica: «un siffatto trovato, che sarebbe di un immenso van-
                taggio pel sicuro trasporto dei citati vini, parmi dovrebbe meritare la
                particolare attenzione delle società patrie di incoraggiamento e venire
                perciò sottoposto dalle medesime a concorso» .
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                   Il vino era un articolo molto ricercato e consumato anche sull’altra
                sponda del Rio della Plata, ovvero quella argentina. La vite coltivata
                nelle province di Mendoza e di San Juan veniva infatti utilizzata esclu-
                sivamente per preparare l’uva passa e l’acquavite: la prima trovava
                sbocco sui mercati bonaerensi e cileni, la seconda nelle province di
                Cordoba e di Tucuman. Qui, nonostante la presenza di grandiosi vi-
                gneti, il vino non veniva prodotto a causa della mancanza di legname
                adatto alla costruzione delle ceste e a causa delle ingenti spese di tra-
                sporto che avrebbero superato i ricavi delle potenziali vendite.
                   Durante la secolare dominazione spagnola gli argentini avevano co-
                nosciuto unicamente il vino rosso della Catalogna, ma in seguito all’ot-
                tenuta indipendenza (c. 1810-1818) impararono ad apprezzare anche


                   53  Si trattava molto probabilmente del vino di Giorgio Gallesio, l’autore della celeber-
                rima Pomona Italiana. A. Roversi, La pomologia astigiana di Giorgio Gallesio, in S. Mon-
                taldo (a cura di), Il Risorgimento nell’Astigiano nel Monferrato e nelle Langhe, Cassa di
                Risparmio di Asti, Asti, 2010, pp. 84-86.
                   54  P. di Prasco, Sul commercio dei vini comuni del Piemonte cit., pp. 338-339.
                   55  Ibidem, pp. 338-339.
                   56  Ast, Cn Montevideo, mazzo 1, Montevideo, 29 aprile 1848, n. 87.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Agosto 2021
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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