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I vini piemontesi nel Nuovo Mondo: le prime spedizioni ottocentesche   439


                    i vini della Provenza, del Belgio, della Renania e del Regno delle Due
                    Sicilie: «solo il Piemonte che tanto abbonda in vini eccellenti non si è
                    ancora scosso dal letargo» . Secondo il ticinese Silvestro Antonio De-
                                              57
                    marchi, cancelliere-viceconsole e reggente del consolato a Buenos Ai-
                    res, la falsa credenza diffusasi nel Regno di Sardegna riguardante i
                    vini subalpini non in grado di resistere al passaggio della linea equi-
                    noziale aveva de facto stroncato sul nascere qualsiasi possibile specu-
                    lazione vinicola con la Confederazione Argentina. I vini del Piemonte,
                    della  Lombardia  e  del  Genovesato  immessi  felicemente  nella  Plata
                    come paccottiglia dimostravano invece l’esatto contrario, e lo stesso
                    reggente Demarchi per uso personale disponeva di una botte di vino
                    bianco  di  Genova  e  di  alcune  bottiglie  dei  rinomati  vini  d’Asti,  di
                    Ghemme, di Stradella e di Portofino.
                       Ad ogni modo, sempre secondo l’opinione dell’agente diplomatico
                    ticinese, per l’introduzione in Argentina di grossi carichi di vino made
                    in Regno di Sardegna serviva una società di commercio nazionale di-
                    sposta a impegnarsi seriamente in quest’affare – con una forza econo-
                    mica  tale  da  permettersi  di  inviare  a  Buenos  Aires  un’abbondante
                    quantità di vino per la formazione di un primo deposito nel porto e di
                    investire su un abile mercante in grado di far conoscere l’eccellenza
                    dei vini sabaudi agli argentini – e una certa attenzione al packaging. Il
                    buon esito della speculazione richiedeva infatti l’impiego di recipienti
                    in legno uguali a quelli già in uso nella Plata; le botti dovevano conte-
                    nere le stesse quantità di liquido come le pipas catalane, mentre il vino
                    in bottiglia necessitava di vetri robusti , etichette accattivanti, tappi
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                    di sughero e una certa diligenza sia nel turare e sigillare le bottiglie,
                    sia nello stivarle con la crusca o con la segatura di legno. Infine, le
                    casse dovevano essere eleganti e contenere esattamente 12 bottiglie,
                    ognuna «con marca esterna indicante la qualità del vino, il paese ed il
                    fabbricatore» .
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                    Conclusioni. Le cause dell’insuccesso

                       Nella prima metà del XIX secolo il Regno di Sardegna non riuscì
                    dunque  a  organizzare  un  export  vinicolo  su  larga  scala  nel  Nuovo
                    Mondo, essenzialmente per i seguenti motivi:



                       57  Ast, Cn Buenos Ayres, mazzo 1, Buenos Aires, 15 febbraio 1849, n. 10.
                       58  Anche per le bottiglie di vetro i viticoltori subalpini erano costretti a rivolgersi
                    all’estero, con la Francia che produceva le migliori. P. F. Staglieno, Istruzione intorno al
                    miglior modo di fare e conservare i vini in Piemonte cit., p. 74.
                       59  Ast, Cn Buenos Ayres, mazzo 1, Buenos Aires, 15 febbraio 1849, n. 10.


                                                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Agosto 2021
                                                           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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