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456 Fabrizio La Manna
non sieno tenuti a prestazione di decima alcuna sull’intiero prodotto dello
zolfo, ma bensì alla prestazione al Regio Erario per una sola volta di once dieci
in ragione di quel permesso, che dovranno inevitabilmente implorare, e in cui
sta principalmente riposta la Suprema Regalìa spettante alla M. S. sopra le
zolfaie tutte di questo regno; quale prestazione dovrà sempre reputarsi inalte-
rabile, a somiglianza di quella del salto delle acque stabilita per l’istessa ra-
gione del Sovrano permesso che suole accordarsi 38 .
Il rescritto conteneva una serie di elementi di notevole interesse. Al
di là di un linguaggio che rivendicava l’esercizio delle più ampie prero-
gative da parte del potere sovrano («Suprema Regalìa spettante alla M.
S.») , nella sostanza prendeva atto e dava ufficiale sanzione a un pro-
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cesso di modernizzazione ancora nella sua fase embrionale, ma di cui
la monarchia napoletana non poteva non tenere conto . Propendeva
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per un’interpretazione di questo tipo Giuseppe Bruzzo: «Quello stato di
cose in Sicilia non è […] la conseguenza di un principio legislativamente
proclamato, […] ma una condizione di fatto che […] venne prendendo
sussistenza, un processo lento per cui dal principio della regalìa, e
quindi delle concessioni si venne poco a poco a quello della proprietà
piena nel padrone del fondo ed al sistema delle permissioni in un gene-
rale interesse di amministrazione e di sicurezza pubblica» . Infatti, nel
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caso in questione la facoltà regia non si esercitava dispoticamente o di-
screzionalmente, ma veniva formalizzata all’interno di un processo bu-
rocratico («permesso da cotesto Tribunale del Patrimonio»), attraverso
forme di riscossione non angariche («prestazione al Regio Erario per una
sola volta di once dieci in ragione di quel permesso, che dovranno ine-
vitabilmente implorare»), che non apparissero oltremodo esose e lesive
della libera iniziativa («la contribuzione della decima fiscale dello zolfo
38 L. Bianchini, Della storia economico-civile di Sicilia cit., vol. II, p. 274.
39 Questa linea interpretativa veniva ribadita da Leopoldo Bianchini: «[Le miniere]
erano comprese nel demanio dello Stato ab-antiquo. […] Niun dubbio che le miniere di
zolfo delle quali tanto abbonda la Sicilia, onde sembra averne avuto quasi diresti privi-
legio dalla natura, si fossero comprese tra le regalie, la qual cosa risulta chiara eziandio
dalle riserbe apposte dei tempi andati nelle feudali concessioni; sicché per aprirne al-
cuna necessitava ottenere special permesso dal fisco. E come cosa preziosa estimavasi
lo zolfo, il governo or ne vietava interamente la estrazione, or l’accordava per designati
luoghi e determinata quantità», ivi, p. 254.
40 «Nello zelo antifeudale illuminista e sulla spinta delle istanze dei fisiocrati si voleva
quindi mutare ogni cosa in allodio, giacché per le sue caratteristiche costruttive appa-
riva il miglior prototipo per una nuova proprietà – semplice e astratta – tale da ricono-
scere in capo ad un unico soggetto il diritto di godere e disporre della cosa nel modo più
assoluto e quindi senza alcuna limitazione esterna», E. Fameli, La costruzione del diritto
di superficie come diritto reale. Dal pensiero di Coviello al Codice del 1942, «Historia et
Ius», 18 (2020), p. 19.
41 G. Bruzzo, Legislazione e industria mineraria, «Rivista di agricoltura, industria e
commercio», III (1871), p. 255.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Agosto 2021
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)