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466 Fabrizio La Manna
ovviare alle carenze limitando gli aspetti disfunzionali finora messi in evi-
denza. Oltretutto, malgrado i ripetuti tentativi, non si riuscì nemmeno a
uniformare la legislazione mineraria. Infatti, i regolamenti sardi non ven-
nero estesi all’Isola, che in questo importante ambito mantenne un re-
gime speciale, che di fatto era un prolungamento, con pochissime varianti
e integrazioni, dell’impianto normativo borbonico. Su questo punto deci-
sivo si era pronunciato il Consiglio straordinario di Stato convocato a Pa-
lermo nell’ottobre del ’60 dal prodittatore Mordini. Incaricato di portare
all’attenzione delle costituende istituzioni nazionali i «bisogni peculiari
della Sicilia», l’organo straordinario aveva stilato un documento di indi-
rizzo che al punto 17 prevedeva che il «diritto di proprietà sulle miniere e
sulle saline, consacrato dalle patrie leggi, e riconosciuto da quella del 17
ottobre 1826 non venghi in nulla immutato» .
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In tal modo, la Sicilia rimase ancorata al principio «iperbolico»
dell’usque ad coelum usque ad inferos , fondato sull’assoluta libertà
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di sfruttamento del proprietario della terra, e questo continuò a essere
uno dei principali motivi alla base del mancato sviluppo del settore .
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A ragione, sosteneva uno dei più noti economisti dell’Italia postunita-
ria, «fu un progresso sottrarre la miniera alla regalia, ma non bisogna
fermarsi a questo punto: bisogna sottrarla alla servitù dei proprietarii
del fondo» . Indubbiamente, si trattò di un’occasione mancata (e irri-
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petibile) per l’economia siciliana , che anche su questo aspetto scon-
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tava i limiti di un’incompiuta integrazione nazionale .
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76 Relazione presentata dal Consiglio straordinario di Stato convocato in Sicilia con
decreto del 19 ottobre 1860, Tip. Morvillo, Palermo, 1860, p. 26.
77 «Col fiorire degli studi di diritto romano […] i dottori credettero di rinvenire il principio
iperbolico dell’usque ad coelum usque ad inferos, così credettero utile l’iperbole medesima
infiltrare a torto od a ragione nel diritto e nella pratica feudale», G. Abignente, La proprietà
del sottosuolo. Studio storico giuridico, «Annali di Agricoltura», 1888, p. 137. Analogo giudizio
veniva espresso da N. Coviello, Della superficie, «Archivio giuridico», XLIX (1892), p. 19.
78 Scriveva a questo proposito Charles Ledoux in un’importante memoria dedicata
alle miniere di zolfo in Sicilia: «En Sicile […] la propriété du fonds emporte celle du
tréfonds et les mines appartiennent aux propriétaires du sol. Il est intéressant de voir
comment le même principe, qui a permis en Angleterre un si magnificue développement
de l’industrie minière, n’a produit en Sicile que le gaspillage des gîtes et le maintien des
plus détestable méthodes d’exploitation», C. Ledoux, Mémoire sur les mines de soufre de
Sicile, «Annales des Mines», VII (1875), pp. 9-10.
79 F. Lampertico, Sulla legislazione mineraria. Continuazione degli studj, Stab. tip. G.
Antonelli, Venezia, 1881, p. 137.
80 «Forse la Sicilia perdette allora una delle più grandi occasioni storiche per uscire dal
sottosviluppo», O. Cancila, La terra di Cerere, Sciascia, Caltanissetta-Roma, 2001, p. 438.
81 Tutto ciò veniva messo in evidenza in maniera esplicita nella relazione della Com-
missione parlamentare sul disegno di legge relativo alle espropriazioni ed ai consorzi per
l’esercizio delle miniere, cave e torbiere, presentata nella seduta del 25 marzo 1890: «Le
difficoltà dell’unificazione niuno può dissimularle. Per giungere ad essa si dovrebbe sce-
gliere fra i due principi», in Appendice a G. Pagano, Le miniere e il diritto di proprietà, R.
Sandron, Palermo, 1891, p. 246.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Agosto 2021
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)