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474 Nicola Cusumano
struttura e le iniziali abluzioni – come ricorda Pisani – erano accom-
pagnati al piano superiore e sistemati in una stanza «decentemente
addobbata», dove avrebbero ricevuto un «particolar trattamento, di-
verso da quello della comunità» . Costoro non avrebbero potuto essere
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accompagnati nella degenza «da’ loro domestici, e familiari», dal mo-
mento che nella struttura sarebbero stati messi a loro disposizione
«dei camerieri, e delle cameriere atti a servirli compiutamente» . Pi-
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sani si distacca dal criterio adottato nella clinica privata di Jean-
Étienne-Dominique Esquirol, sorta nel 1802, che aveva concesso ai
pochi abbienti che ne costituivano il bacino di utenza di portare i pro-
pri domestici.
Il lavoro è al centro del recupero – questo approccio prenderà il
nome di ergoterapia, o terapia occupazionale – esso è «costante e fati-
coso», e gli esercizi legati all’agricoltura devono essere preferiti a tutti
gli altri, «da esperta mano diretti». Nello stabilimento i maschi sono
impegnati nei «lavori meccanici di ogni sorta», e le donne, «oltre ai la-
vori del loro sesso», si dedicano al giardinaggio. È esclusa la possibilità
che i pazzi svolgano «lavori servili» fuori dallo stabilimento, all’interno
del quale sono previsti dei giochi atti «a proccurare ai pazzi un esercizio
corporale, come quello della racchetta, della palla, della giostra etc.»,
svolti ogni domenica, la mattina e il pomeriggio, e durante le feste. I
familiari non possono incontrare i malati, dal momento che «un corso
costante di osservazioni ha in effetti dimostrato, che i pazzi non siensi
giammai ristabiliti in seno delle proprie famiglie, ove di sovente esiste
la causa della loro follia». Nel descrivere per primo i benefici del lavoro
manuale Philippe Pinel – il leggendario precursore che nel 1793 aveva
liberato dalle catene i folli imprigionati nell’ospizio di Bicêtre («un atto
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rivoluzionario tra i più umani», così Freud in Charcot) – aveva mani-
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festato alcuni dubbi sulle abitudini degli aristocratici; la loro resi-
stenza al lavoro ne avrebbe infatti vanificato l’efficacia terapeutica, ri-
schiando di impedire il pieno recupero della ragione: «i nobili, che
25 Ivi, p. 32.
26 Ibidem.
27 J. Postel, C. Quétel, Nouvelle histoire de la psychiatrie, Dunod, Paris, 1994, pp.
152-161. Già a partire dall’Ottocento si discusse su chi fosse stato il primo ‘liberatore’
(C. Livi, Pinel o Chiarugi? Lettera a Brierre de Boismont, «La Nazione», 18, 19, 20 sett.
1864) e si fece il nome di Vincenzo Chiarugi come l’antesignano della psichiatria fran-
cese che avviò per primo un approccio umanitario nella cura degli alienati (cfr. P. Guar-
nieri, La storia della psichiatria. Un secolo di studi in Italia, Olschki, Firenze, 1991, p. 15
e P.L. Cabras, E. Campanini, D. Lippi, Uno psichiatra prima della psichiatria: Vincenzo
Chiarugi e il trattato “Della pazzia in genere, e in specie” (1793-1794), Scientific Press,
Firenze, 1993). Chiarugi è autore del Della pazzia in genere, e in specie. Trattato medico-
analitico, con una centuria di osservazioni, L. Carlieri, Firenze, 1793-94.
28 S. Freud, Charcot, in Id., Opere, vol. 2, Bollati Boringhieri, Torino, 2014, p. 111.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Agosto 2021
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)