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286 Salvatore Ciriacono
Un’altra presenza nella penisola balcanica con cui Venezia doveva
confrontarsi era rappresentata dalla città di Dubrovnik. Come bene ha
messo in rilievo James Tracy gli operatori economici della città, tribu-
taria della Sublime Porta sin dal 1438, coprivano uno spazio commer-
ciale (costituito da stoffe europee, pellame, cere) che si estendeva a
Skopje, Belgrado, Sarajevo. Si è avanzata la cifra di trecento commer-
cianti di Dubrovnik presenti in trenta città ottomane e due-tremila ra-
gusei che vivevano nei territori ottomani. Sia Venezia che Genova eb-
bero dunque da confrontarsi con Dubrovnik in quel Mar Nero dove
entrambe le repubbliche non poterono alla fine giocare lo stesso ruolo
esercitato nel corso del Medioevo, a fronte di un’entità politico-econo-
mica non meno minacciosa quale si stagliava all’orizzonte, vale a dire
l’impero russo .
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In un contesto così ampio, che andava quindi dal Mar Nero all’Un-
gheria, in quelle lontani regioni Venezia lasciava o era costretta a con-
cedere larghi spazi di autonomia agli operatori locali, sudditi o meno.
Certamente in tali attività potevano intervenire commercianti del luogo
ma anche imprenditori senza scrupoli. Non possiamo in effetti dimen-
ticare come gli uscocchi di Segna o i marinai di Perasto (quella che
sarà l’ultima roccaforte mercantile legata a Venezia e che ammainerà
il vessillo di S. Marco soltanto alla caduta dello stato veneziano) carat-
terizzarono in forme ambigue tali attività, fra la pirateria e transazioni
commerciali ortodosse. Un Mare Adriatico, dove i porti albanesi sog-
getti all’Impero ottomano, quali Durazzo e Dulcigno, rappresentarono
comunque il polo essenziale nell’interscambio commerciale vene-
ziano .
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Complessa e ricca di articolazioni economiche fu sempre il caso di
Spalato, il quale nell’ottica veneziana rappresentò un avamposto stra-
tegico nel rintuzzare la concorrenza della Repubblica di S. Biagio (Ra-
gusa) nell’accaparrarsi il traffico con l’Impero ottomano. Un vivace
traffico carovaniero giungeva infatti in questo porto sia da Sofia come
da Belgrado, terminali a loro volta di una corrente di esportazioni ot-
tomane sicuramente rilevanti. I turchi potevano vendere infatti nella
Dalmazia veneta grano, formaggi, carni, miele, cera lana, pellami, ac-
quistandovi sale, pesce salato, panni di lana, olio, spezie, cere lavora-
31 J.D. Tracy, Il commercio italiano in territorio ottomano cit., p.427. Secondo Tracy
più favorevole per il commercio italiano sembrò restare l’area della Transilvania.
32 C. Luca, Gli irrequieti sudditi dalmati della Serenissima: Marco Štukanovich da Pe-
rasto e la sua incursione ai danni del commercio tra Venezia e l’Europa Orientale, in Ve-
nezia e l’Europa Orientale tra il Tardo Medioevo e l’Età Moderna. Atti del Convegno Inter-
nazionale, Venezia 23 aprile – 24 aprile 2015, Antiga Edizioni, Cornuda, 2017, pp.167-
177.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Agosto 2021
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)