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                   Un’altra presenza nella penisola balcanica con cui Venezia doveva
                confrontarsi era rappresentata dalla città di Dubrovnik. Come bene ha
                messo in rilievo James Tracy gli operatori economici della città, tribu-
                taria della Sublime Porta sin dal 1438, coprivano uno spazio commer-
                ciale (costituito da stoffe europee, pellame, cere) che si estendeva a
                Skopje, Belgrado, Sarajevo. Si è avanzata la cifra di trecento commer-
                cianti di Dubrovnik presenti in trenta città ottomane e due-tremila ra-
                gusei che vivevano nei territori ottomani. Sia Venezia che Genova eb-
                bero dunque da confrontarsi con Dubrovnik in quel Mar Nero dove
                entrambe le repubbliche non poterono alla fine giocare lo stesso ruolo
                esercitato nel corso del Medioevo, a fronte di un’entità politico-econo-
                mica non meno minacciosa quale si stagliava all’orizzonte, vale a dire
                l’impero russo .
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                   In un contesto così ampio, che andava quindi dal Mar Nero all’Un-
                gheria, in quelle lontani regioni Venezia lasciava o era costretta a con-
                cedere larghi spazi di autonomia agli operatori locali, sudditi o meno.
                Certamente in tali attività potevano intervenire commercianti del luogo
                ma anche imprenditori senza scrupoli. Non possiamo in effetti dimen-
                ticare come gli uscocchi di Segna o i marinai di Perasto (quella che
                sarà l’ultima roccaforte mercantile legata a Venezia e che ammainerà
                il vessillo di S. Marco soltanto alla caduta dello stato veneziano) carat-
                terizzarono in forme ambigue tali attività, fra la pirateria e transazioni
                commerciali ortodosse. Un Mare Adriatico, dove i porti albanesi sog-
                getti all’Impero ottomano, quali Durazzo e Dulcigno, rappresentarono
                comunque  il  polo  essenziale  nell’interscambio  commerciale  vene-
                ziano .
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                    Complessa e ricca di articolazioni economiche fu sempre il caso di
                Spalato, il quale nell’ottica veneziana rappresentò un avamposto stra-
                tegico nel rintuzzare la concorrenza della Repubblica di S. Biagio (Ra-
                gusa)  nell’accaparrarsi  il  traffico  con  l’Impero  ottomano.  Un  vivace
                traffico carovaniero giungeva infatti in questo porto sia da Sofia come
                da Belgrado, terminali a loro volta di una corrente di esportazioni ot-
                tomane sicuramente rilevanti. I turchi potevano vendere infatti nella
                Dalmazia veneta grano, formaggi, carni, miele, cera lana, pellami, ac-
                quistandovi sale, pesce salato, panni di lana, olio, spezie, cere lavora-




                   31  J.D. Tracy, Il commercio italiano in territorio ottomano cit., p.427. Secondo Tracy
                più favorevole per il commercio italiano sembrò restare l’area della Transilvania.
                   32  C. Luca, Gli irrequieti sudditi dalmati della Serenissima: Marco Štukanovich da Pe-
                rasto e la sua incursione ai danni del commercio tra Venezia e l’Europa Orientale, in Ve-
                nezia e l’Europa Orientale tra il Tardo Medioevo e l’Età Moderna. Atti del Convegno Inter-
                nazionale, Venezia 23 aprile – 24 aprile 2015, Antiga Edizioni, Cornuda, 2017, pp.167-
                177.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Agosto 2021
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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