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                del direttore, «lo spirito elevato» in grado di farla funzionare all’interno
                dell’istituto. Dopo dodici anni di esperienza, Pisani traccia così il pro-
                filo di chi deve svolgere al meglio la mansione e dedicare la sua vita
                alla direzione dello stabilimento, che deve essere innanzitutto «sincero
                e fedele» e non può «giammai mancar loro di parola» . Ricorda di non
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                aver tralasciato il consulto dei medici sul supporto farmacologico da
                impiegare, ma che da costoro non ha ricevuto che la generica risposta
                «che in medicina non si conosceva ancora uno specifico per la guari-
                gione di sì strana malattia» (che «si doveva attaccare il principio mor-
                bisico nella sua propria sede», la quale, al pari di tutte le altre malattie
                risiedeva «nello addome»). Queste «luminose» dottrine risoltesi nell’uti-
                lizzo dei purgativi, dei salassi e dei vomitivi, non colgono il reale aspetto
                dei matti, che gli appaiono in perfetta salute, e da ciò deduce lo stato
                sano e «di sommo vigore» degli organi e della loro «vita vegetativa». Non
                un solo riferimento alla letteratura medica e a un dibattito che nel
                frattempo si è evoluto, che non siano il riguardo per il tema pineliano
                del ‘lavoro’ e l’esortazione, rivolta agli operatori della Casa, di non per-
                dere mai di vista l’«umanità», strumento e fine ultimo dell’azione di
                recupero della ‘terapia morale’. I modelli a cui si ispira sono invece
                esplicitati: oltre a quello francese di derivazione pineliana, guarda con
                favore al quacchero William Tuke, che nel ritiro di York era riuscito a
                sviluppare un proprio approccio alla ‘terapia morale’ contraddistinto
                dalla dolcezza e dal ritorno benefico all’elemento naturale, e a Thomas
                Arnold con la sua Madhouse privata di Leicester, messa su alla fine
                del XVIII secolo; ma ricorda pure il pastore anglicano Francis Willis,
                che aveva impiantato una struttura privata a Greatford, nella contea
                del Lincolnshire, la cui azione terapeutica era centrata sul lavoro ma-
                nuale nei campi (Willis ricevette grande notorietà dal paziente più il-
                lustre che ebbe in cura, re Giorgio III) .
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                   A Palermo, dunque, come ad Aversa, il direttore è anche l’amministra-
                tore dello stabilimento, colui che decide «senz’appello sopra tutti gli arti-
                coli  appartenenti  alla  cura  morale  dei  pazzi».  Da  qui  sorgono  i  limiti
                dell’azione terapeutica, dato che – come osserva ancora Dupallans – si
                tende a dimenticare una «verità importante da ricordare sempre, e cioè
                che gli uomini estranei alla conoscenza dell’arte di guarire non sapreb-
                bero gestire, senza incorrere nei più colpevoli errori, il trattamento degli
                alienati» . Con ogni evidenza i criteri che orientano il piano operativo
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                all’interno della Casa paiono più riflettere esigenze burocratiche. Pisani


                   70  P. Pisani, Lettera al dottor Moore di Londra, cit., p. 37.
                   71  Sulle influenze che tali esperienze psichiatriche ebbero su Pisani cfr. G. Agnetti,
                A. Barbato, Il barone Pisani e la Real Casa dei Matti di Palermo, cit., pp. 139 ss.
                   72  J.G. Desmaisons Dupallans, La Francia alla ricerca del modello e l’Italia dei mani-
                comi nel 1840, cit., p. 42.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Agosto 2021
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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