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                   Sebbene si registrasse infine un’insufficiente disponibilità di con-
                tanti, non sembra che ciò alla fine non impedisse ad alcuni imprendi-
                tori veneziani, a dire il vero israeliti, di introdurre una lavorazione lo-
                cale di nastri e rasi di seta, un’industria a domicilio avant la lettre.
                D’altra  parte  ad  Aleppo  esisteva  una  sola  ditta  commerciale  veneta
                (quella di Andrea Sola), forse una seconda del Muti (che scompare co-
                munque dalle nostre carte), contro le molto più solide case ebraiche di
                Isaac e Iosef Belilios e Salomone Alteras e figli. Quest’ultima si sarebbe
                poi alleata alla casa di Vivante Menachem di Lion operante a S. Gio-
                vanni d’Acri. Un Alteras, David, una volta deceduto lasciava un’eredità
                di ben 300.000 piastre (su tale eredità si aprì comunque un conten-
                zioso con gli eredi e la relativa tassazione a loro carico). In ogni caso i
                magistrati speravano sempre nella benevolenza fiscale e daziaria delle
                autorità ottomane, affinché il dazio sulle merci veneziane non fosse
                superiore al 3% (almeno pari a quello che colpiva le transazioni com-
                merciali toscane, insistevano) .
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                   D’altro  canto  si  doveva  fronteggiare  una  diretta  concorrenza  da
                parte di mercanti-imprenditori ottomani: un «agà» (il funzionario otto-
                mano) aveva ottenuto non a caso dalla Porta e in quell’anno l’appalto
                dell’oro e dell’argento filato. Commercianti francesi (di Marsiglia) e ge-
                novesi cercavano egualmente di sostituirsi a Venezia nell’esportazione
                di berrette di lana in quelle regioni (Marsiglia vi aveva esportato 140-
                150 casse di berrette, «somiglianti a quelle di Tunisi» per un valore di
                150.000 piastre) .
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                   Ciò nonostante ad Alessandretta si registravano ancora nel 1777
                carichi di cotone e di filati provenienti da Aleppo per ben 200.000 du-
                cati, mentre da Venezia si cercava di importare damaschetti dorati e
                rasi e di riesportarli nell’Impero ottomano e in India . Poteva la Re-
                                                                    73
                pubblica vantare ancora sul finire del XVIII secolo una propria pre-
                senza nel mercato indiano, da dove continuava a importare i diamanti
                grezzi che la città riusciva, sebbene con qualche difficoltà, a intagliare
                nonostante la concorrenza, feroce e vincente sotto il profilo internazio-
                nale, di Amsterdam. Dall’India, fenomeno che appariva anticipatore di
                ben ulteriori sviluppi economici e geopolitici (la cui anticipazione non


                   71  V Savi, Prima serie, b.603, 27 febbraio 1776. Nel conto si dovevano prevedere
                anche fallimenti e malversazioni, come quelli che dovette subire il marchese Giovanni
                De Sepes. Il suo committente Giuseppe Lioni, operante a Bagdad e Bassora, retribuito
                con 120 ducati l’anno, aveva trattato molteplici merci asiatiche di valore, come pepe,
                diamanti, tessuti indiani, cocciniglia, e riuscito ad esportato vetrame, vini, panni di lana
                (londrine), aghi da cucire, salami ma poi si era dileguato (V Savi, Prima serie, b.378, 22
                ottobre 1772; Notarile, Atti di G.B. Airoldi Marcellini).
                   72  V Savi, Seconda serie, reg.198, cc.187r.190r., Scrittura 3 marzo 1777.
                   73  Ibid.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Agosto 2021
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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