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                residenti rispetto ai passeggeri o in altre circostanze legiferare in senso
                contrario, allo scopo di favorire l’afflusso di merci dai porti mediterra-
                nei (come dalla Morea negli anni in cui la regione era controllata dalla
                Repubblica) .  Né  si  doveva  dimenticare  –  osservavano  i  Magistrati,
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                con una punta di patriottismo – che per quanto riguarda la seta in
                quel  commercio  continuavano  ad  essere  coinvolti  i  Veneziani,  per  i
                quali la legislazione della Repubblica doveva pur avere un occhio di
                riguardo .
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                   In tale gioco complesso le suppliche che arrivavano periodicamente
                sui tavoli dei Savi alla mercanzia da parte dei commercianti armeni
                miravano ad ottenere facilitazioni ed esenzioni fiscali, con la latente
                minaccia di stabilire degli avamposti commerciali a Genova o Livorno
                o Ancona o Marsiglia a causa dei dazi eccessivamente elevati che si
                pretendevano  a  Venezia:  dazi  che  potevano  raggiungere  fra  cottimo
                (l’ imposta che gravava sulle merci importate ed esportate dai mercanti
                veneziani nelle rispettive piazze e destinata a sostenere le spese con-
                solari, molto gravose nei paesi arabi e ottomani) e tansa (l’ imposta che
                gravava sugli abitanti di Venezia) il 9 % del valore della merce all’en-
                trata, senza contare i dazi che colpivano le esportazioni . Gli Armeni
                                                                      85
                che operavano a Smirne e Costantinopoli (le piazze dove gli Armeni
                erano presenti e legati a un traffico continuo con Venezia) auspicavano
                di non essere sempre obbligati a viaggiare sotto scorta su navigli ve-
                neziani, rinnovando l’auspicio a godere di una libertà commerciale dif-
                ficile da ottenere nell’ancien régime veneziano .
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                   In ogni caso, negli ultimi secoli della Repubblica, anche questa co-
                munità, al pari dei Greci e degli Ebrei, sicuramente avrebbe sostenuto
                le fortune economiche, o avrebbero condiviso le sorti di una Repub-
                blica non condannata comunque a un inevitabile declino. Nell’ambito
                di questa minoranza si sarebbero affermati famiglie e gruppi di sicura
                fortuna economica, prima fra tutte la famiglia degli Sceriman, giunti
                ben presto a Venezia da Nuova Giulfa e destinati a svolgere un ruolo
                economico  decisivo  nell’ambito  della  società  veneziana.  Le  loro


                   83  V Savi, Seconda serie, b. 4, Fascicolo 47, Parte terza, Scritture dei Savi 11 marzo,
                14 marzo, 10 aprile 710; copia del Decreto del Senato 30 agosto 1710. Nell’aprile del
                1710, si erano contati soltanto 27 mercanti stanziali contro 35 non residenti (V Savi,
                b.4, Fasc. 47, Parte seconda, Relazione dei savi, 5 ottobre 1694).
                   84  V Savi, Seconda serie, b.4, Fascicolo 47, Parte prima, Scrittura dei Savi 23 agosto
                1640.
                   85  Ibid. In modo molto realistico i Savi concludevano che se anche gli Armeni aves-
                sero venduto le loro merci (seterie, indaco, panni di lana, specchi, perle) in quei porti,
                ad altri gruppi commerciali, come ad esempio i Fiamminghi, essi alla fine avrebbero
                reinvestito i loro capitali a Venezia stessa (cfr. V Savi, Parte prima, Fasc.47, Scrittura
                dei Savi, 23 agosto 1640).
                   86  V Savi, Prima serie, b.349, Fasc. 134, Supplica presentata il 28 giugno 1724.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Agosto 2021
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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