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Vivere e morire fuori patria: i testamenti genovesi in Oriente   313


                    Morire lontano: problemi ereditari e legami con la città d’origine

                       Nel 1340 il mercante genovese Tommasino Gentile, parte di una ca-
                    rovana di compatrioti diretta in Cina, cadde ammalato nei pressi di Or-
                    muz, sul Golfo Persico. Come in gran parte dei paesi stranieri, vigeva la
                    consuetudine che i beni dei forestieri deceduti vi fossero confiscati. Te-
                    mendo la morte, Tommasino affidò i propri beni ai compagni di viaggio,
                    che proseguirono verso la Cina. Egli, tuttavia, riuscì a guarire e tornò
                    in patria per la via più corta, passando per Tabriz, nonostante il divieto
                    di transito per la città imposto in quel momento dal governo genovese
                    ai suoi mercanti. Il processo che ne seguì, in cui Tommasino fu assolto,
                    è interessante perché testimonia la paura di una morte fuori patria per
                    un mercante in viaggio, che aveva come prima conseguenza pratica la
                    dispersione dei beni che egli portava con sé .
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                       Mentre Tommasino aveva dovuto interrompere il proprio itinerario,
                    altri mercanti genovesi erano arrivati in Cina in quegli stessi anni, vi
                    avevano vissuto e vi erano morti. È il caso dei fratelli Giovanni, Iacopo
                    e Ansaldo de Oliverio, che avevano fondato una società commerciale:
                    dopo alcune spedizioni in Siria e a Pera, Iacopo e Ansaldo erano partiti
                    per il Catai nel 1333, mentre Giovanni era rimasto a casa. I due geno-
                    vesi si erano stabiliti in Cina, dove li aveva raggiunti poco tempo dopo
                    il nipote Franceschino, figlio di Giovanni, e dove i tre mercanti si erano
                    arricchiti con il commercio. Dopo lunghi anni, nel 1345, aveva fatto
                    ritorno a Genova solo Ansaldo, portando con sé i beni della famiglia,
                    la  notizia  della  morte  dei  congiunti  e  probabilmente  anche  il  testa-
                    mento di Iacopo, della cui esistenza abbiamo notizia. Il documento era
                    stato scritto «in partibus Catagii» e poiché non vi erano notai era stato
                    redatto da un altro genovese, Domenico de Illioni, come dunque do-
                    veva usare in casi di necessità, nei quali un compatriota poteva svol-
                    gere le funzioni di pubblico ufficiale. Con scarso affetto fraterno, Gio-
                    vanni de Oliverio aveva approfittato della morte lontana del fratello
                    nella successiva spartizione dei proventi della società: il defunto Ia-
                    copo invece che socio appariva come una sorta di salariato, la sua
                    parte  di  capitale  era  molto  ridotta  e  ulteriormente  decurtata  delle
                    spese di mantenimento della famiglia in sua assenza, con somme che
                    erano state anticipate da Giovanni alla cognata Grimalda. La moglie
                    d’altronde non vedeva Iacopo da almeno una dozzina d’anni, ritrovan-



                       13  R.S. Lopez, Nuove luci sugli italiani in Estremo Oriente prima di Colombo, in Id., Su
                    e giù per la storia di Genova cit., pp. 124-125. Il verdetto del 1344 con il quale Tomma-
                    sino Gentile è sollevato dalla pena di essere transitato per Tabriz, poiché non aveva più
                    merci con sé e dunque non poteva rompere il veto al commercio che avevano imposto le
                    autorità genovesi, è edito in: ivi, pp. 134-135.


                                                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Agosto 2021
                                                           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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