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                 tato del 1720, e che nella sostanza riprendevano quanto già provviso-
                 riamente convenuto fra l’ammiraglio D’Estrées e il governatore Hagg
                 Abdallah Day al termine dei violenti scontri che avevano visto contrap-
                 poste la Francia e la reggenza nel 1685, prevedevano infatti che i padri
                 apostolici residenti a Tripoli fossero ufficialmente riconosciuti quali
                 sudditi naturali francesi; ed era questo il principio a cui Guys si appel-
                                                                    13
                 lava per rivendicare il pieno controllo sulla missione .
                    Le pretese del commissario repubblicano, apertamente rigettate dai
                 missionari, caricavano dunque l’intera questione di contorni inediti. I
                 contrasti fra la Francia e i religiosi, fino a quel momento perlopiù legati
                 ai  disaccordi  sul  cerimoniale, con  l’insediamento  del  commissario
                 repubblicano erano passate a riguardare più specificamente la sfera
                 giurisdizionale; fatto che non risultò privo di conseguenze. Dopo aver
                 contribuito in un primo momento ad accentuare oltremodo i timori dei
                 padri apostolici per il mantenimento dell’integrità e dell’autonomia
                 della missione, le divergenze avrebbero infatti offerto loro il pretesto
                 per affinare le strategie con cui opporre resistenza e quindi poter con-
                 trobattere con efficacia alle intimazioni del delegato francese. Le ragioni
                 sovente esternate da Guys per ribadire la dipendenza della missione
                 dalla Repubblica rivoluzionaria, si scontrarono ben presto con la vivace
                 ed energica riluttanza opposta dai religiosi, i quali, per nulla propensi
                 a voler accondiscendere alle richieste del commissario generale, svi-
                 lupparono in quei mesi un nutrito numero di argomentazioni e atteg-
                 giamenti, tali da giustificare più compiutamente il proprio diniego,
                 alcuni dei quali poi ulteriormente ripresi ed elaborati nel corso della
                 successiva stagione napoleonica.
                    In primo luogo, essi motivavano il loro rifiuto asserendo di non voler
                 venir meno all’inscindibile vincolo di fedeltà che li univa in modo indis-
                 solubile alla Congregazione di Propaganda e al pontefice; risposta che,
                 oltre a ritornare con una certa frequenza nella documentazione di quel
                 determinato frangente politico, avrebbe altresì costituito, negli anni




                 fanatismo per la ideata Repub[b]lica» (Ibidem). Sulla genesi dell’accordo stipulato nel
                 1720 dalla Francia con la reggenza tripolina, si veda E. Rossi, Storia di Tripoli e della
                 Tripolitania dalla conquista araba al 1911 cit., p. 231.
                    13  Questi i termini contenuti nel XXVI articolo del Trattato del 1720: «Les pères capu-
                 cins et les autres religieux missionnaires à Tripoli de quelque nation qu’ils puissent être,
                 seront désormais traités et tenus comme propres sujets de l’Empereur de France, qui
                 les prend en sa protection, et en cette qualité ne pourront être inquiétés ni en leurs per-
                 sonnes, en leurs biens, ni en leur chapelle, mais considérés et maintenus par le Consul
                 Français comme propres et véritables sujets de l’Empereur de France»; cfr. E. Rouard
                 de Card, Traités de la France avec les pays de l’Afrique du Nord. Algérie, Tunisie, Tripoli-
                 taine, Maroc, A. Pédone, Paris, 1906, p. 261.


                 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aprile 2018       n.42
                 ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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